Intervista a Joe Peduto, l’italiano erede degli Alan Parsons Project fondatore di Sirius MusicArtVision

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Joe Peduto fondatore del progetto Sirius Music Art

Sirius MusicArtVision nasce da un’idea di Joe Peduto e Josh Di Pasca, (rispettivamente voce chitarra e voce tastiere) ed il nome s’ispira ad un noto pezzo degli Alan Parsons Project (Sirius). Dopo il primo lavoro del 2017 “Revenge” e l’uscita di Josh, Joe Peduto ha preso le redini del progetto pubblicando ,su etichetta Tunecore, il nuovo singolo “Don’t believe in love”. Abbiamo l’opportunità per formulare alcune domande a Joe per conoscere meglio il progetto.

La vostra scesa in campo  comincia nel 2015 e la vostra caratteristica è quella di fondere musica ed arte visiva.  Come nasce questa idea e quali sono i vostri trascorsi? 

Salve a tutti i lettori, per primo vorrei presentarmi sono Joe Peduto e dal giugno del 2018 ho preso le redini del progetto Sirius, dopo l’uscita di Josh. Pertanto, l’inizio del progetto nasce alla fine del 2015 quando entrambi, io Joe e Josh volevamo fare qualcosa di nostro, ma che non si fermasse solo al semplice concetto di sviluppo musicale, ma bensì di dare dei messaggi oltre che attraverso i suoni o parole, attraverso delle immagini, a tal modo da far rientrare come concetto nel progetto l’arte visiva. Le prime idee nate, affiancando il concept album Revenge, furono la creazione di una copertina disegnata a mano (by Silvia Sperduta Illustration) che andasse a sottolineare l’intero concept del progetto, l’altra, la realizzazione di un comic, (by Simona Simone)  un fumetto che raccontasse con delle immagini ciò che i testi e soprattutto la musica rappresentava per noi. Sarà pubblicato nel 2020 con, si spera, un cartoon come altro bagaglio dell’art visiva prodotta dal progetto Sirius. Le altre forme d’arte visive sono rappresentata dalla fotografia, come per il booklet in Revenge e la copertina di Don’t Believe in Love. La speranza, sarà di dare un impatto visivo anche durante i live, idealmente rappresentata da attori/immagini/luci che interpretano le sonorità e testi del progetto.

Due anni fa usci’ il  primo lavoro “Revenge”: un concept-album in cui il nucleo tematico trae ispirazione da un adagio dello scrittore Goethe: “La vendetta più crudele è il disprezzo di ogni vendetta possibile”. Similarmente a quanto cantato al festival da Moro e Meta (“Non mi avete fatto niente”) credete che la non-reazione sia sempre l’azione più efficace da cavalcare?  

Credo che la non reazione non sia sempre l’azione più efficace come risposta a tematiche come la violenza, soprusi, illegalità e spesso forse una risposta decisa e a mano ferma sia più decisiva, ma credo che imporre una punizione credo che provochi solo la crescita interna di altro odio e che prima o poi si possa scaturire in violenza liberatoria o come punizione verso il sistema punitore stesso, quindi entrando così in un circolo infinito, quasi come un paradosso. Credo invece che rispondere, non con una non-reazione, ma con una reazione diversa, come dare la possibilità di poter cambiare le cose, sia migliore. Esempio, un ragazzino che ruba per fame, credo che il modo giusto sia prima fargli presente ciò che comporterebbero le sue azioni nella propria vita e poi dare una opportunità legale e normale per poter evitare di rubare, di contro dare una punizione credo che possa solo portare a far crescere quell’odio contro il sistema che non ha allungato un braccio per dare una possibilità di riscatto.  

“Every” fu il singolo estratto, un brano d’indubbio fascino ipnotico, in cui vede la presenza prestigiosa del celeberrimo chitarrista Luca Colombo: secondo voi cosa l’ha convinto a partecipare? Qual è la forza globale di questo singolo?

Diciamo che non prendemmo consapevolezza della cosa subito ma passarono qualche settimana dalla già avvenuta collaborazione, quando vedevamo la gente meravigliata da questa collaborazione e allora ricordammo le parole di Luca Colombo alla mia domanda ingenua lì nel suo studio, se il pezzo piaceva .

<< Di solito io prima di decidere su un featuring ascolto e riascolto più e più volte un brano e di questo mi ha colpito la sua atmosfera e attenzione per i dettagli e se non mi piaceva non credo che stavate qui….>>Personalmente e ha detta di molti credo che la forza di questo brano sia la capacità di far incontrare le persone con se stessi, perché la semplicità di un sound ipnotico e di una voce come quella di Adia forte ma senza disturbare l’ascoltatore e l’ascolto, sia capace di far riflettere e lasciarsi andare ai propri pensieri e credo che oggi sia difficile trovare in un brano l’atmosfera giusta per creare un auto-riflessione. Quindi non si parla solo di musica ma bensì di sensazioni. 

Siamo convinti che incentrare la tracklist sul tema di un concept sia molto più impegnativo che sgranare più argomenti.  Quali sono stati i maggiori ostacoli da superare?

I primi ostacoli sono stati senz’altro capire quale fosse il tema centrale e cercare di dare un messaggio tramite il riferimento ad uno scrittore ma che allo stesso tempo la tematica doveva essere attuale e nel mio caso incentrata anche alla rivalorizzazione del mio territorio, il Cilento. Il tutto è stato poi studiato e incastrato con le varie fasi del proggetto, dall’artwork, corvi come simboli di vendetta,  al colore porpora, simbolo di dualismo come bene e male, ai titoli delle tracce, che lette dal primo all’ultimo brano creano a grandi linee la frase di Goethe citata sopra. Tutti i punti del lavoro non sono stati messi a caso ma ben studiati. 

Il vostro sound, con molti delay, è caratterizzato da stilemi vari in efficace mutazione che spaziano da strali rumorosi a placide lande sospensive ed  incorporee colme di feeling.  Notiamo che, oltre alla netta evocazione Pink Floydiana e di Alan Parsons Project, ci siano riferimenti anche ad Eric Clapton, Steve Hackett e Santana: figurano anche questi nomi tra i vostri ispiratori?   

La musica del progetto Sirius come ne indica il nome è volutamente ispirata al sound degli Alan Parson’s Project, ma essendo un chitarrista e fan dei pink floyd non potevo non essere influenzato dallo stile e soprattutto dallo studio del sound di David Gilmour, ma nella cultura di un’artista come me si hanno contaminazioni che poi hanno portato al mio stile e come già è stato descritto nella domanda, confermando la semplicità di Eric Clapton, l’arrangiamento di Steve Hackett dei Genesis e l’anima di Santana e non si parla di imitazione o di copiare ma semplicemente di avere una ispirazione da poter far ricordare un mio brano, che possa o meno somigliare al sound degli artisti già citati, ma che sia ricordato perché mio. 

“Don’t believe in love” è il nuovo singolo e si avvale dell’ottima voce di Adia Bini (singer dei Synchromism). Di cosa parla? Farà da preludio ad un nuovo lavoro che proseguirà, forse, il discorso di “Revenge”, magari legato anche ad un’espressione visiva ? Se si, chi vi farà da supporto al progetto?

“Don’t believe in love” è un singolo che si discosta dall’ultimo lavoro sia in senso sonoro e di genere sia in senso tematico, a tal caso il tema molto attuale che in linea generale parla da riguardarsi giustamente dalla falsità del bene. Si presenta da un lato come un percorso biografico, dove sottolineo di credere solo in me stesso, ne nella famiglia, ne nella punizione come percorso correttivo e dall’altro è una forma di denuncia verso il buonismo e al suo lato oscuro, che si cela dietro. Una denuncia del quotidiano, da ciò che avviene nella Chiesa e nella Curia, agli amori violenti, a ciò che succede sulle navi di migranti, e alle guerre fatte da bambini. 

L’ispirazione per il testo è nata ascoltando la canzone di John Lennon, “God” . Non sarà un lavoro fine a se stesso ma neanche la base per un nuovo concept album ma bensì per un B-Side, una raccolto di nuovi e vecchi brani mai pubblicati con delle tracce edite ri-arrangiante, dal nome “In the Mirror” che ciò che guardiamo nello specchio a volte può riflettere la realtà che non vediamo nella vita reale e a volte ti fa credere in cose che non sono reali. 

Per questo progetto ho pensato ad un paio di nomi internazionali che potrebbero rientrare in un featuring ma per il momento bocca chiusa posso solo dire che possono essere legati uno al mondo dei Pink Floyd, l’altro al mondo dei Queen.

Visto che la vostra espressione artistica non si limita alla mera musica ma ambite ad offrire molto di più, che sorprese ci dobbiamo aspettare sul fronte del palco? Ci potete anticipare qualcosa?

La possibilità di poter creare qualcosa che possa essere rappresentata su un palco e su un live spesso può essere solo frenata dal sistema economico e organizzativo che limita un po’ un artista non famoso in caso contrario come accennato sopra i live potranno essere arricchiti da scene, immagini, fumetti che raccontino la storia di ogni brano. 

Il relativo videoclip ci calamita in atmosfere decisamente Kubrickiane ed è diretto dal regista Bogher Rahiti Nover (già in forza con Gabbani). Dove è stato girato e quanto tempo ci è voluto per realizzarlo? Difficoltà?

Il videoclip di Don’t Believe in Love è stato girato in soli 2 giorni per fattori organizzativi con lo staff con 20 ore di lavoro ed è stato girato nell’Hotel Panorama di Roccadaspide (SA) un hotel sorto negli anni 70’ che rispondeva all’esigenza di avere un’atmosfera Kubrickiana alla Shine e credo che sia per la location che per la regia si sia avuto il fattore Kubrick anche con una parentesi un po’ parodica nella scena post credits. 

Attraverso la vostra musica traspare il forte anelito di far riemergere una bella fetta di sound eighties ma col proposito di arricchirla con tocchi personali. Credete che la buona musica si sia davvero fermata a quegli anni? Fare musica, nel vero senso della parola, è ormai un concetto chimerico?

La nostra musica da un lato vuol far riscoprire, scoprire e apprezzare ciò che sono state le nostre basi e gusti musicali come dagli anni 70’ agli 80’ , non credo che la vera musica si sia fermata negli 80’ perché artisti di oggi come Muse, Coldplay, Franz Ferdinard e tanti altri ne sono la prova e spero che in un non lontano futuro abbia anch’io l amia cerca di ascoltatori che in piccola parte adesso mi segue in parti del mondo come USA; Canada e Europa del Nord. 

Però credo che in grande linea oggi, soprattutto in Italia fare musica oltre che esser diventato un vero e proprio concetto chimerico sia quasi visto come un qualcosa da sfigati, colpa della massa? Non credo ma di chi mette certa musica di fronte alla massa perché la gente va educa e rieducata sul concetto di fare musica e si deve partire soprattutto dai music club che privilegiano cover e tribute band o artisti emergenti nel campo del rap e trap in quanto è la moda e non vi sono paragoni evidenti nel passato. 

Com’è il vostro rapporto con il Web? Forse, il dilagare del trash, di haters e (purtroppo) di ricatti e “Revenge” varie inquina tristemente un potente mezzo che potrebbe essere destinato a più importanti utilità? E’ più croce che delizia?

Oggi sei una star se pubblichi il tuo pranzo o le tue labbra per non dire altro e avere un pubblico che possa seguire la musica o il messaggio che un artista vuole dare è molto difficile se non sei famosissimo, ma il web è il mezzo per farsi conoscere, apprezzare e dissacrare nel bene e nel male e nel nostro piccolo viene usato con alti e bassi rispondendo così che al contempo diventi sia croce che delizia. 

Ci congediamo dai Sirius MusicArtVision formulandogli i migliori auspici per una brillante carriera e rivolgiamo un consiglio ai nostri lettori di seguire il loro interessante percorso musical-visivo, che darà modo al duo campano di mettere in evidenza (tra l’altro) la terra natia del Cilento.  Alla prossima !