“La memoria ci presenta ciò che vuole” diceva Montaigne. E a volte viene da chiedersi se valga lo stesso per la memoria collettiva. Sono pochi, infatti, a ricordarsi del Cantastampa. Eppure si tratta di un evento che con le sue quattro edizioni itineranti tra il 1963 e il 1968, più una in coda al Cantagiro nel ’72, ha messo insieme i più grandi interpreti della canzone con le firme più prestigiose del giornalismo.
Testi scritti da Sandro Ciotti, Maurizio Costanzo, Gianni Minà con le musiche di Ennio Morricone, Riccardo Cocciante, Paolo Conte per le interpretazioni di artisti come i Rokes, Nilla Pizzi, Carla Boni, Iva Zanicchi, Gino Paoli, Giorgio Gaber.

Ecco, dunque, che la ricerca di Michele Bovi “C’era una volta il Cantastampa” (Coniglio Editore, 2025) colma una lacuna anomala, recuperando non solo i testi, ma anche documenti inediti, testimonianze e foto rare di un tassello non secondario della storia della musica italiana.
Tra i superospiti di richiamo come Celentano e Rita Pavone, si trovano chicche sconosciute ai più, come l’esordio di Mia Martini, “Lupara twist” di Pino Donaggio e “La ragazza allo specchio” cantata da Rita Monico con testo di Emilio Fede e musica di Luis Bacalov.
Perfino Gianni Morandi sostiene di avere ricordi confusi della sua partecipazione al Cantastampa del 1964, edizione svoltasi a Taormina. Portò “Un amore sbagliato” che segnò la sua prima collaborazione con Lucio Dalla, coautore della musica.
“Giornalismo e passione: pessima accoppiata” sostiene Panella nella sua interessante appendice. Ma il problema dell’oblio è dovuto anche a svariati fattori: uno di questi – evidenzia Bovi – è la mancanza dei filmati, nonostante la copertura televisiva della Rai. A tal proposito l’autore del libro individua nello smarrimento delle registrazioni un problema comune ad altre trasmissioni, come “Il paroliere questo sconosciuto” che segnò l’esordio di Raffaella Carrà.
Inoltre, tranne rari casi, le canzoni del Cantastampa non furono pubblicate e la formula del festival senza competizione smorzava il mordente dello spettacolo.

La qualità di questa ricerca, valore costante nelle pubblicazioni di Michele Bovi, è la capacità di far coesistere il rigore scientifico dell’indagine con lo stile divulgativo che rende la lettura piacevole e intrigante anche al semplice appassionato. E tale peculiarità le permette di essere un must: per gli addetti ai lavori c’è il dovere della documentazione e della cultura musicale, mentre per gli appassionati e per i nostalgici degli anni ’60 c’è il gusto di un ricordo che ritorna vivido.
Il Cantastampa recupera insomma il posto che merita nella storia dello spettacolo, perché “la vera arte della memoria” diceva Samuel Johnson ed è obbligo degli storici e dei ricercatori “è l’arte dell’attenzione”.