Certe notti, per fortuna, esistono ancora. E la Puglia, più precisamente quel piccolo miracolo culturale chiamato Locus Festival, continua a regalarcele con una generosità e una visione che lo confermano – senza esagerazioni – come uno dei migliori festival estivi italiani. La programmazione di quest’anno ha spaziato tra generi e generazioni con una coerenza rara, costruendo un mosaico sonoro che ha saputo tenere insieme elettronica, cantautorato, sperimentazione e pop d’autore.

E nella cornice da sogno della Masseria Ferragnano di Locorotondo (Bari), la serata di domenica 10 agosto 2025 è stata il perfetto manifesto di questo spirito. Un sold out annunciato da giorni, pubblico delle grandi occasioni, e sul palco due artisti particolarmente affini: Lucio Corsi e i Baustelle. Alle 21.15 spaccate, Lucio Corsi sale sul palco con la sicurezza di chi ha finalmente trovato la propria voce. Dopo anni di semina, il successo di “Volevo essere un duro” è arrivato come una consacrazione meritata, e dal vivo lo conferma senza riserve. Il suo è un set molto rock, denso e stratificato: tre chitarre, tastiere, organo, basso e batteria. Una band solida, compatta, capace di evocare atmosfere che vanno ben oltre il glam rock e i consueti rimandi a David Bowie. Qui si sente la teatralità epica di Jim Steinman, l’urgenza melodrammatica alla Meat Loaf, ma con un’ironia tutta italiana, personale, mai manieristica. La scaletta è un viaggio dentro l’universo immaginifico dell’artista toscano: si parte con Freccia Bianca, si attraversano momenti sospesi come Questa vita e Trieste, fino alla deflagrazione finale con Let There Be Rocko e Francis Delacroix, quasi un manifesto generazionale. Una citazione speciale per Il Re del rave e La bocca della verità, due brani che dal vivo acquistano una grinta ancora maggiore. Corsi non è più una promessa: è una presenza. E in questa notte pugliese lo ha dimostrato con forza e stile.

Dopo il necessario cambio palco, alle 23.25 è la volta dei Baustelle. Un ritorno atteso, quasi naturale, per una band che ha già calcato il palco del Festival della Valle d’Itria, ma che ogni volta riesce a riscrivere il senso del proprio essere “pop”, in bilico tra nostalgia e avanguardia. La scaletta, più compatta rispetto ai tour precedenti, ha scelto la sostanza alla quantità. Al centro c’è ovviamente “El Galactico”, il disco dello scorso aprile che ha segnato un nuovo capitolo nella poetica baustelliana: elegante, cinematografico, ironico e profondamente malinconico. Si apre con Pesaro, e da lì un susseguirsi di immagini e suggestioni: Giulia come stai, Filosofia di Moana, Nabucodonosor, fino al climax emotivo di Il liberismo ha i giorni contati, ancora oggi uno dei loro pezzi più iconici. La sorpresa arriva con il medley Le rane / Contro il mondo, in una versione spogliata e intima. Ma è l’introduzione di La canzone del riformatorio a lasciare il segno: Francesco Bianconi si prende un momento per ricordare i 25 anni dall’uscita del Sussidiario illustrato della giovinezza, evocando quel disco di esordio, uscito nel 2000, e che conteneva brani di qualche anno prima, che facevano ascoltare a pochi intimi. Un piccolo amarcord che riempie d’emozione la platea. Gran finale, naturalmente, con Gomma, e due bis immancabili: La guerra è finita e Charlie fa surf.

Il Locus Festival, con questa doppietta, ha dimostrato ancora una volta di saper parlare al presente senza dimenticare la memoria. Unisce nomi affermati e nuove voci, suoni internazionali e radici locali, con una cura e un gusto rarissimi. Lucio Corsi e i Baustelle, in questo scorcio d’estate pugliese, ci hanno regalato due ore e mezza di musica che è riuscita a essere spettacolo, confessione e sogno. In una parola: vita.