Si è spento a 51 anni D’Angelo, nome d’arte di Michael Archer, uno dei più influenti artisti del panorama soul contemporaneo. La causa è un tumore che, negli ultimi mesi, aveva già costretto il cantante ad annullare impegni pubblici, tra cui un concerto previsto a Filadelfia lo scorso maggio. La sua morte segna la fine di un percorso musicale breve ma dirompente, capace di ridefinire i confini dell’R&B e del soul, aprendo la strada a una nuova estetica sonora che avrebbe influenzato un’intera generazione.

Con l’album Brown Sugar, pubblicato nel 1995, D’Angelo fece il suo ingresso sulla scena con un suono caldo e crudo, fortemente debitore del soul classico ma attraversato da linee ritmiche moderne, bassi profondi e armonie che flirtavano con il jazz, il funk e l’hip-hop. Quella miscela, tanto personale quanto innovativa, sarebbe diventata il cuore pulsante del cosiddetto “neo-soul”, termine coniato dal suo manager e poi adottato per descrivere il lavoro di artisti come Erykah Badu, Lauryn Hill, Maxwell e Jill Scott. Ma fu Voodoo, uscito nel 2000, a consacrarlo definitivamente. L’album, un capolavoro di groove e spiritualità, gli valse due Grammy Awards e il plauso unanime della critica. A renderlo un’icona pop fu anche il celebre videoclip del brano Untitled (How Does It Feel), nel quale D’Angelo, ripreso a torso nudo, divenne simbolo di sensualità e vulnerabilità. Un’esposizione mediatica che, però, lo mise in crisi: secondo amici e collaboratori, l’artista faticava a convivere con l’attenzione sul suo corpo più che sulla sua musica, una frustrazione che contribuì al suo lungo silenzio discografico. D’Angelo tornò solo nel 2014 con Black Messiah, un lavoro potente e politico che si fece portavoce delle proteste contro le ingiustizie razziali negli Stati Uniti. L’album fu accolto come un evento, acclamato dalla critica e premiato con altri due Grammy. Era la dimostrazione che, nonostante l’assenza, il suo talento non si era affievolito. Al contrario, sembrava aver trovato una nuova urgenza espressiva, una voce più matura e consapevole.

Nato a Richmond, in Virginia, D’Angelo crebbe in una famiglia di predicatori e affinò il suo talento nella chiesa pentecostale. Quella formazione religiosa ha sempre permeato la sua musica, fatta di intensità spirituale e tensione emotiva. Anche se la sua produzione discografica si è limitata a tre album in trent’anni, l’impatto culturale e artistico della sua opera è incalcolabile. I suoi colleghi lo considerano uno dei più grandi interpreti della sua generazione, un punto di riferimento costante anche per le nuove leve. La sua morte lascia un vuoto nel cuore di chi ha visto in lui non solo un cantante, ma un visionario capace di dare nuova forma all’anima della musica afroamericana.