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Pubblicato il 10/10/2008 alle 11:46:43
Debora Petrina: la stacanovista giocoliera della musica cantautorale al femminile ai nostri microfoni
di Laura Gorini
Si chiama Debora Petrina, in arte Petrina, la nuova promessa della musica cantautorale nostrana al femminile. Geniale ed eclettica come poche, è riuscita ad aggiudicarsi il rinomato Premio Ciampi 2007

Si chiama Debora Petrina, in arte Petrina, la nuova promessa della musica cantautorale nostrana al femminile.
Geniale ed eclettica come poche, è riuscita ad aggiudicarsi il rinomato Premio Ciampi 2007 dedicato espressamente ai cantautori.
L’abbiamo incontrata in esclusiva per i lettori di Musicalnews.com davanti a una tazza di cioccolata calda fumante...
Debora presentati ai lettori di Musicalnews.com con pregi, vizi e virtù...
Ti dirò tre facce della stessa medaglia; basta cambiare la sfumatura dell’aggettivo, come aggiungere o togliere una dominante di colore.
Pregio: sono costante
Vizio: sono stacanovista.
Virtù: sono tenace.
Mettiamoci anche il difetto, per bilanciare il pregio: sono rompipalle! ( ride)
Perché hai scelto come nome d’arte il tuo cognome?
Odiavo gli insegnanti che mi chiamavano per cognome, mi sembrava una cosa fredda e formale.
Ma col tempo ho apprezzato il significato della parola, che rende bene la testa dura ma in piccolo. Una testina dura , insomma!
Mi raccomando, l’accento cade sulla ‘i’, altrimenti svanisce l’effetto diminutivo.
Chi o che cosa ti ha avvicinato all’universo musicale?
Sicuramente il rock inglese degli anni Settanta che ascoltavano i miei fratelli maggiori quando ero piccola, quando non avevo ancora nessuno strumento in casa, ma preparavo sfrenati balletti a suon di Led Zeppelin e Who.
Hai compiuto studi musicali specifici. Se si quali?
Gli studi specifici sono stati vari: il Conservatorio e le Accademie all’estero per il piano, i corsi di jazz per il canto.
Ma come compositrice sono totalmente autodidatta. E anche come autrice.
I tuoi genitori come hanno reagito innanzi alla tua decisione di diventare musicista di professione?
Veramente sono stata io ad avere una reazione quando loro a mia insaputa mi hanno iscritto al Conservatorio: ‘e ora non avrò più tempo per giocare’, ho detto loro. Ma mi sono rifatta in seguito…( ride di gusto)
A quali artiste ti ispiri maggiormente?
Bah, i nomi a cui il pubblico mi associa sono solitamente Tori Amos, Regina Spektor, Kate Bush, ma sono tutte artiste che ho conosciuto solo dopo aver cominciato a scrivere canzoni.
Però posso dire di aver scritto un pezzo ispirato a P.J.Harvey e John Parish, che sentirete in anteprima al Festival VociControvento.
Toglimi una curiosità: qual’è stato il primo cd che hai acquistato?
Ehm, era un disco di Paul Mc Cartney.
Si trattava di “ Ebony and Ivory “che desideravo intensamente a otto anni.
E l’ultimo?
L’ultimo acquistato è stato un cd dei Dufus, una band di indie-rock di New York, con un cantante dal nome difficile, ( Seth Faergolzia ) e dalla voce incredibile.
Da provare assolutamente!
Sono cambiati ora i tuoi gusti musicali rispetto a quelli che possedevi da ragazzina?
Non poi tanto direi. Come dicevo prima, i semi c’erano tutti, Led Zeppelin, Who, Jim Morrison, Cream, Pink Floyd, Janis Joplin.
Simon & Garfunkel li lasciavo a mia sorella! ( ride di gusto)
E veniamo ora a parlare più nello specifico del tuo sound...Come lo descriveresti?
Questa è sicuramente la domanda più difficile, e sicuramente ha un trabocchetto.
Ho paura che se uso un aggettivo qualche canzone si offenda.
Allora, da brava mamma, dico che il mio sound è un soundbailò.
In che situazione nasce una tua canzone?
Le canzoni si trovano, come i funghi di Cage.
Leggi un giornale in treno e lì la trovi, ti guardi alle spalle e ne trovi un’altra.
Alcune sono anche velenose, ma non si butta mai via niente, sennò ti vengono a trovare tutte le notti e non ti fanno dormire.
Nasce prima la musica o prima il testo?
Per me è il testo che chiama la musica, è l’articolazione delle parole in una melodia o ritmo.
Poi ovviamente il testo cambia in funzione della canzone, ma è la parola la prima ad avere la musica in sé.
Facciamo ora il punto sulla tua discografica. Che cosa hai pubblicato?
Ho pubblicato un cd di musica contemporanea e preso parte ad altri due, sempre nello stesso ambito.
La musica in questione è di Morton Feldman, compositore americano della corrente astrattista e informale, quella sotto cui rientra anche il già nominato John Cage.
Stai attualmente lavorando a un tuo nuovo cd? Qualche chicca in merito?
Il cd è bell’e finito, e aspetta che qualcuno voglia pubblicarlo, cosa che in Italia sembra sempre più difficile.
Le chicche sono tante. Ci saranno Ascanio Celestini, Elliott Sharp, mucche, asteroidi, bisbetiche domate, sms anonimi, spritz e bikini rosa.
Debora sei molto attiva dal punto di vista live. Generalmente com’è strutturato un tuo concerto tipo?
Ci sono concerti in cui parlo e concerti in cui canto e basta, anche concerti in cui suono e basta, senza manco aprire la bocca…(a novembre suonerò al Concentus Musicus, a Firenze, un programma senza voce, ma avrò un baule di sorprese, soprattutto per l’accordatore, ndr).
Non c’è una struttura, anche perché mi piace cambiare, le canzoni, gli arrangiamenti, le durate, i suoni, anche gli strumenti, sia quelli che suono io che quelli degli altri.
Con quali formazioni ti esibisci?
La mia formazione prediletta, che è anche quella del disco, è con basso e batteria, ma recentemente ho cominciato ad apprezzare anche la chitarra nelle mie canzoni.
Dalla mia parte, a mò di trincera, stanno il piano, le tastiere elettroniche e i piani giocattolo d’epoca.
Ovvero una stanza dei bottoni in piena regola; meno male che ci sono solo dieci dita!
Durante i tuoi concerti proponi anche delle cover? Se si, quali?
Ho iniziato con le ‘discover’, ovvero all’inizio ho scoperto come dis-fare le canzoni altrui, dai Radiohead a Nick Cave, alle canzoni popolari cubane o venete.
Ho smesso quando mi sono accorta che erano più lunghe le parti nuove, quelle scritte da me, di quelle originali.
Era in effetti diseconomico, anche dal punto di vista del diritto d’autore e ho così cominciato a comporre pezzi solo miei.
Ma non ho dimenticato le dis-cover, e le ripropongo in versioni ulteriormente dediscoverizzate.
Per rimanere sempre nel “campo live” ho notato che hai suonato ( e suoni tuttora) molto all’estero...Quali differenze sostanziali hai riscontrato tra il pubblico italiano e quello straniero?
La differenza è tanta.
Il pubblico americano è più disinvolto, ride, partecipa, e dopo il concerto ti racconta le sue impressioni, che sono le più fantasiose.
Come quel cileno a NY paragonò la mia musica ai quadri di Frida Kahlo, o quella vecchietta, sempre lì, che mi parlava di cibo giapponese e Laurie Anderson allo stesso tempo.
E a livello organizzativo?
L’Italia da questo punto di vista sta sempre più assomigliando all’America: concerti pagati pochissimo e musicisti che muoiono di fame.
Probabilmente i nostri pronipoti faranno i concerti via Skype direttamente dalle loro case.
Così gli organizzatori non avranno più da ridire sui noleggi delle tastiere!
Tu non sei soltanto una bravissima musicista, compositrice e pianista ma anche una validissima danzatrice. Come ti sei avvicinata alla danza?
Mi sono avvicinata tardi, professionalmente parlando, anche se l’ho sempre praticata nel segreto delle mie stanze (vedi balletti sfrenati a suon di Who più sopra). La danza che pratico sfocia spesso nel teatro, e attinge alla voce, quella delle corde vocali certo, ma anche e soprattutto quella dal di dentro, che è la stessa da cui traggono origine le canzoni.
Quali studi in tal senso hai compiuto?
I danzatori che sono stati importanti per la mia crescita sono tanti, come tanti i corsi e le ore dedicate, anche se solo negli ultimi anni.
E tanti gli episodi che hanno incrociato la danza con la vita con la musica.
Come un lavoro con Iris Erez in una gipsoteca: il lavoro aveva come tema le ferite, i traumi fisici ricevuti nella propria vita, da raccontare col corpo e con la voce.
E due giorni dopo l’ultima spettacolo sono volata dalla finestra, ho rotto naso e braccio e ho portato un gesso per più di un mese!
E ancora, tre giorni dopo la sgessatura, col braccio ancora immobile e gonfio, sono andata a danzare a Düsseldorf, dormendo in un letto che era stato di Susanne Linke!
E ovviamente ho scritto una canzone.
So che hai partecipato a diversi spettacoli...Vuoi rinfrescarci meglio la memoria al riguardo?
L’ultimo è stato “Bottoms Up”, un solo diretto da Sara Wiktorovicz, in cui canto tra l’altro una canzone del disco registrato,” Pool Story”. Un altro è una mia creazione, “She-Shoe”, da cui è scaturita l’omonima canzone, sempre nel disco. “She-Shoe “è un po’ la mia carta d’identità, sia nelle parole della canzone sia nella coreografia del pezzo, tutto con una mano in una scarpa, e le gambe all’aria.
Adesso sto pensando ad un altro lavoro, un duetto con un musicista elettronico, anzi, un duello.
E lo costruirò attorno a una canzone, anche questa volta.
Sono e resto principalmente una musicista, ma la danza apre voci inattese e scioglie le semicrome più arrotolate.
E ora che cosa ci possiamo e dobbiamo aspettare da Debora Petrina?
La-pe-trina vien mangiando, come l’appe-tito.
E se poi ci mettiamo la testardaggine, di Petrina ce ne sarà una voragine!
A parte gli scherzi, se i discografici si sbrigano a far uscire il disco appena registrato, “In Doma”, io passo direttamente al prossimo, di cui sto finendo di scrivere i pezzi.
E non è uno scherzo!

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