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Interviste
Pubblicato il 16/03/2018 alle 10:40:19
Mino Lanzieri presenta Endless: un contenitore di storie, emozioni, perdite e conquiste
di Manuela Ippolito Giardi
Si intitola Endless, l’ultimo lavoro discografico del chitarrista campano Mino Lanzieri pubblicato dall’etichetta Filibusta Records.

Si intitola Endless, l’ultimo lavoro discografico del chitarrista campano Mino Lanzieri pubblicato dall’etichetta Filibusta Records.

Per l’occasione il chitarrista campano si è avvalso della collaborazione di due grandi musicisti quali Reuben Rogers (contrabbasso) e Gene Jackson (batteria), già conosciuti in precedenti lavori.

Una formazione solida, in cui la chitarra è sempre al servizio della composizione e in cui l’interplay è al di sopra dell’estro dei singoli. Mino Lanzieri in persona ci ha raccontato questa avventura.

Innanzitutto come nasce il Mino Lanzieri Trio?
Il trio nel jazz è una delle formazioni più significative e sicuramente una delle più complesse dal punto di vista esecutivo, soprattutto nel caso della chitarra, in quanto la mancanza di un supporto armonico, proietta il chitarrista nel doppio ruolo di accompagnatore e solista allo stesso tempo, e l’abilità sta proprio nel miscelare le due cose, come succede con un pianoforte. Penso che questa formazione possa offrire ancora approcci e sonorità originali e tutte da scoprire, e sicuramente condividere questa ricerca con due giganti come Reuben Rogers e Gene Jackson ha reso e rende tutto speciale.

Come è nata la collaborazione con Reuben Rogers e Gene Jackson?
La nostra collaborazione nasce nel 2009, in occasione del mio secondo album come leader “The Alchemist”. L’obiettivo era di organizzare una ritmica “esclusiva”, e allo stesso tempo composta di alcuni tra i miei musicisti preferiti di sempre, traguardo molto ambizioso, ma alla fine ci sono riuscito. Reuben e Gene sono dei veri capiscuola dei rispettivi strumenti, e la loro unione genera un sound unico.

Cosa ci puoi dire di Endless?
Endless, come tutti gli altri dischi del resto, rappresenta un contenitore. Al suo interno sono riposte storie, emozioni, perdite e conquiste, veri e propri periodi della nostra vita, insieme a studi e ricerche musicali.

C’è un concept nel disco? Come hai composto i tuoi brani? Come hai scelto i brani non tuoi?
L’obiettivo era quello di confrontami con la formula del trio, cercando di sintetizzare un suono personale ispirato ovviamente ai grandi esempi sia del passato che del presente. Ho cercato di far convergere tutte le mie influenze, ovviamente partendo dal jazz, ma abbracciando il country, tutta la musica latina e quella classica. Questo ha influito sia sull’aspetto compositivo sia sulla scelta del repertorio, infatti, tra i brani arrangiati ci sono “Shenandoah”, una canzone di matrice country risalente al periodo coloniale, “Playing Love” del maestro Ennio Morricone e due standards che amo suonare da sempre, “Things we did last summer” e “Fee Fi Fo Fum”. I brani originali invece, sono stati scritti nello stesso periodo, e credo rappresentino sia nell’armonicamente che nella forma forma, il naturale sviluppo di un percorso di ricerca iniziato già con “The Alchemist” (2010).

Come descrivete il tuo lavoro artistico?
Credo che “Endless” sia una fotografia molto chiara del mio attuale approccio alla musica, sia come chitarrista sia compositore. Il tutto è stato registrato in un unico giorno, cercando di interrompere il meno possibile l’alchimia che si era creata da subito. Abbiamo lavorato in studio strumenti alla mano, cercando di dare un senso “live” al progetto, come personalmente credo sia giusto in questo tipo di musica.

La fase creativa dei brani in questo lavoro da quali ispirazioni è partita?
Ogni brano ha una sua motivazione, un suo tempo. Alcuni vengono tutti in una volta, ti siedi e inizi a scrivere e non ti fermi più, altri sono solo delle idee, le trascrivi e le metti da parte. Poi accade di vivere alcune sensazioni o momenti che ci ricordano esattamente quel brano incompleto, e ci donano ispirazione per completarlo. A volte comporre è un processo molto semplice e naturale, altre volte molto complesso, in ogni caso è liberatorio.

La copertina del disco rimanda ad un’immagine un po’ country?
Si l’idea era esattamente quella. Sono cresciuto amando il country e il suono della chitarra acustica. Country come Jazz, non sono solo stili musicali ma anche modi di vivere, ed io mi sento molto vicino a entrambi. Le foto dell’album sono state scattate a casa mia, dove ho una baita di legno, il mio studio privato, un rifugio dove nascono quasi tutte le mie composizioni.

Quali sono i riferimenti musicali che ti accompagnano?
Chitarristi come Jim Hall, Joe Pass prima, e Pat Metheny, John Scofield, John Abercrombie poi, hanno esplorato tantissimo la formazione del trio, elevando il ruolo della chitarra alla pari di quello del pianoforte, quindi inevitabilmente sono loro i primi punti di riferimento, ma come ho detto, ho amato e amo tutta la musica e le influenze derivano anche da tanti altri artisti e stili.

Meglio i live o studio?
Sicuramente preferisco il live. Registrare un disco è sicuramente un modo per immortalare un tuo periodo musicale, per condividerlo con gli altri, ma non avrà mai la stessa sensazione del live, dove le cose succedono sicuramente in modo meno condizionato. Non a caso alcuni dei dischi più belli della storia sono dei “live”.

Come descrivi il tuo live?
Quando preparo un concerto, o meglio, una serie di concerti per promuovere un disco, mi preoccupo prima di tutto di rendere l’esatta idea del messaggio musicale ed emotivo di ogni singolo brano e dell’intero progetto. Comunicare con il pubblico in questo senso è la cosa più importante per me. Ovviamente la cosa avvincente e che ogni volta, a ogni concerto può accadere qualcosa di diverso, e di provare diverse sensazioni nella rilettura di un brano. Uno dei ricordi “Live” più belli risale a pochi mesi fa, in occasione di un concerto a Napoli. Dopo aver suonato “Shenandoah”, mi accorgo che Reuben si è commosso insieme a buona parte del pubblico nelle prime file, fu una versione ed un momento molto sentito e profondo, e questo, credo sia il risultato più ambito per un musicista.

Progetti futuri oltre a promuovere questo cd?
Ci sono vari progetti che a breve porterò a termine, come la mia prima pubblicazione “didattica”, su cui lavoro già da diverso tempo, e che racchiuderà anni di studi e ricerche sul linguaggio del jazz e il suo sviluppo e pratica. Inoltre è in cantiere il secondo disco del progetto “Conversation” insieme ad Andrea Rea, e nuovi concerti e pubblicazioni con il quartetto della giovane ma già bravissima cantante Emilia Zamuner.





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