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Recensioni
Pubblicato il 23/02/2014 alle 18:48:30
Enrico Deregibus – Chi se ne frega della musica? (NdA Press)
di Ambrosia J.S. Imbornone
Una raccolta di recensioni, interviste e report live, editi e inediti, su nomi storici e nuove leve, da De André a Freak Antoni, dai Massimo Volume a Brunori. Una guida per chi vuole approfondire la bellezza e la varietà della musica italiana.

“Chi se ne frega della musica, di tutti questi libri sulla musica, di tutte le interviste, di tutte le riviste, di tutti gli arrivisti…” cantava Caparezza, ironizzando su un mondo superficiale in cui al gossip o alle foto paparazzate si presta più attenzione che alla musica e in cui il personaggio famoso è strattonato di qui e di là (e/o a destra e sinistra?), subissato di richieste di amicizia e di richieste di favori da parte di presunti amici, ma poco è davvero ascoltato. D’altronde il mondo della musica è diventato affollato e confuso: ogni anno, complice la facilità con cui con un software professionale è possibile allestire un homestudio, ormai c’è un “una montagna di cd”, così difficile da scalare o anche solo da ordinare, anche se comprenderà “gemme nuove da scoprire, musiche, frasi, talenti, pezzi di vita e di vite”, come si legge nel libro che ci accingiamo a recensire; c’è un mare magnum di uscite pregevoli, mediocri o insignificanti, in cui può essere facile perdersi e tra cui si può facilmente perdere proprio gli album più affascinanti, soffocati dal battage pubblicitario intorno ai soliti nomi mainstream.
In questo contesto la critica musicale dovrebbe essere un faro, che non imponga canoni a chi preferisce navigare a vista, ma costituisca una guida per i naviganti, che serva loro a gustarsi il viaggio, notando i dettagli, compiendo le tappe più significative (se lo si vuole), e approfondendone la bellezza. E dovrebbe servire ad allenare lo spirito critico dei navigatori-lettori, assopito e stordito dal rumore dell’hype. Ecco allora che il volume di scritti raccolti da Enrico Deregibus, giornalista e curatore di festival e rassegne, appare più che interessante e utile: se le recensioni ora appaiono appannaggio del signor chiunque e sono spesso transitorie pagine dell’aleatorio blog o sitarello del momento, ecco che un libro come questo non solo presenta articoli frutto di autentica, comprovata e “affidabile” competenza, apparsi su prestigiose testate tuttora attive come L’isola che non c’era (oggi L’isola della musica italiana) o Rockol, ma salva dall’oblio testi pubblicati su siti ormai scomparsi (la rete è accessibile a tutti, ma senza alcuna garanzia di eternità!) o su riviste di difficile reperibilità, completandoli con parecchi inediti che completano e corredano le analisi critiche e le interviste pregresse e ordinandoli in ordine alfabetico in una sorta di mini-dizionario.
Proprio di Dizionari Deregibus ne ha curato uno (il Dizionario completo della canzone italiana della Giunti) nel 2006, ma in questo caso il progetto custodisce piuttosto il carattere estemporaneo degli scritti: le recensioni o i report live, pur nei ritocchi subiti, conservano la loro identità di istantanee collocate in un tempo preciso; in tal modo, esse consentono di rituffarsi in un determinato momento e di ricostruire non solo una diacronia nel percorso degli artisti, ma anche in quella degli scritti critici di Deregibus, dei suoi molteplici interessi e del suo fitto, appassionato lavoro per la musica. La varietà degli argomenti delle recensioni si fa specchio allora della vivacità multiforme e della bellezza che la musica italiana offre ancora copiosamente in ogni declinazione musicale e sfumatura di genere.

Così nel volume si spazia dagli Afterhours (in foto), con micro-bio e doveroso tributo alla “credibilità” che Agnelli ha contribuito a dare al “nuovo rock italiano”, al “rap puro e duro” degli Assalti Frontali, dal rispetto per la carriera di Baglioni all’eleganza e all’incanto dischiusi da Hermann di Paolo Benvegnù (recensito in un articolo inedito), da un ritratto di Samuele Bersani o di Sergio Cammariere, alla “pasta musicale” “tesa, asciutta, elettrica” di Giorgio Canali e delle sue canzoni “di pancia, di anima” e cervello, dai Gang, “pilastro del rock italiano degli ultimi decenni”, fino allo scioglimento e al ritorno dei Massimo Volume, con i testi “nudi e sfuggenti e visionari” di Emidio Clementi.
Ci si imbatte in nomi storici come Nicola Arigliano, “impeccabile crooner” e “jazzista sornione, raffinato, precisissimo”, Paolo Conte, Fabrizio De Andrè, da non mettere “su un piedistallo”, avendo “passato una vita a cercare di buttare giù dai piedistalli: per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità. Di verità”, e De Gregori, di cui Deregibus si è occupato nella biografia Quello che non so, lo so cantare (2006); ancora in questo volume vi è un ricordo di Sergio Endrigo e della miopia (o meglio sordità) con cui è stato censurato e ingiustamente sottovalutato, di Giorgio Gaber e Rino Gaetano. Deregibus indaga l’unicità di Guccini, ci offre un prezioso saggio intitolato Il 1976, la piazza, la società su Ho visto anche degli zingari felici di Claudio Lolli, “ritratto politico” di una generazione, tra “cronaca e poesia, dolore e amore, amicizia e sesso”, “i desideri e le disperazioni”, e un “fanta-pezzo” su come avrebbe potuto essere la carriera di Tenco se non fosse morto.

In una scelta ben ponderata dall’autore la giusta attenzione è poi riservata a quelle che erano/sono “nuove” leve della canzone italiana e ormai sono in molti casi già conferme di qualità, spessore e personalità: Deregibus ci parla allora in alcuni articoli inediti del “mondo espressivo” dei Baustelle e della “felicissima e riconoscibilissima” penna di Francesco Bianconi, del tono “colloquial-minimal-sorridente, post-ideologico” di Brunori Sas (in foto) e della sua freschezza, dei calembour con cui Caparezza attacca “pregiudizi” e luoghi comuni, del gusto acustico di Dente che mostra “un suo tocco, un suo modo, una sua inventiva, una sua dolcezza”. E ancora l’autore si sofferma sull’assenza di retorica negli Offlaga Disco Pax, il cui album Socialismo tascabile (2005) è descritto come “originale, eloquente. Attraente”, sul Teatro degli Orrori, con i suoi brani “inquieti” e “inquietanti” e “la capacità interpretativa di Capovilla – crudele e forte come una smorfia”, o sulla “solida” scrittura dei “sarcastici” Zen Circus, tra “arrangiamenti semplici e calzanti” e ironia.
Per non offrire un quadro idealizzato o irreale e nutrire lo spirito critico dei lettori, nel volume c’è spazio anche per i dubbi sul peso artistico di un disco degli 883, o sull’album di Morandi prodotto da Ramazzotti (Come fa bene l’amore, 2000), il cui risultato è definito “fallimentare”, per una “cronaca monella” dell’Italian Music Award 2001 e della “noia generalizzata” suscitata dalla serata patinata, o per una “cronachetta live di Laura Pausini appena appena ironica”.
Deregibus intervista Capossela (in foto), la giovane, sorprendente Carlot-ta, Finardi, Fossati, Mauro Ermanno Giovanardi, Vasco Brondi (Le luci della centrale elettrica), Mannoia, Pino Marino, Pasquale Panella (con “risposte-spettacolo”), Enrico Rava, “quel mito di Clem Sacco” e Freak Antoni.
Non manca un articolo scelto come premessa, che racconta un tempo personale e collettivo/generazionale, di scambi di vinili, audiocassette vergini, di album da riascoltare in futuro quando forse sarebbe stato possibile comprenderli e dischi che “ti entravano invece subito, […] che ti facevano venir nostalgia di cose non ancora vissute, dolcezza, voglia per un amore non ancora fatto, indignazione per una politica non ancora capita”. E narra di “canzoni su canzoni, a memoria, dieci, cento, mille”, degli artisti da scoprire, di dischi da ordinare nel negozio di fiducia, concerti, sbronze, disillusioni e “sogni nuovi – strappati con i denti, se necessario”.
Deregibus si parla ancora del Club Tenco, del Folkclub, del M.E.I., di Mescal e Tendachënt, offre panoramiche sulla nuova canzone d’autore, sulle cantautrici, sul folk italiano, sull’industria musicale, sul cosiddetto “rock demenziale” dagli Skiantos a Elio e le Storie Tese, o sul duello da ingaggiare con la lingua italiana per imparare a scrivere testi validi, tra rime, figure retoriche e “difettacci” da evitare, come le “ripetizioni concettuali”, e include nel testo anche una divertente e realistica “casistica romanzata (neanche poi tanto)” della stroncatura.
Il volume attraversa percorsi esistenziali e carriere artistiche, testi (ad es. vi è una “analisotta” dei testi di Buon sangue di Jovanotti), sonorità, intenzioni e risultati con il controcanto caustico, gustoso e/o acuto di Gianluca Morozzi, a mo’ di riflessioni, ricordi, aneddoti e postille critiche che un lettore abbia annotato su analogici post-it, e brevissime introduzioni di Enrico a contestualizzare e ricucire gli articoli. Il libro appare in definitiva un vademecum per chi vuole imparare a scrivere di musica e un’antologia della musica che merita tempo, per chi non vuole limitarsi a pattinare sulla superficie, o accontentarsi di recitare la (triste) parte del laudator temporis acti. Perché, come scrive Morozzi, la “gente che legge solo i bestseller da autogrill, che ascolta solo la musica delle radio commerciali, che va a vedere solo i filmoni delle multisale, è gente che si perde un sacco di cose". Interessatevi della musica: può salvarvi o cambiarvi la vita. Per sempre.

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