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Interviste
Pubblicato il 26/08/2017 alle 19:22:23
Quattro chiacchiere con il contrabbassista jazz Aldo Zunino
di Stefania Schintu
Una carriera trentennale per uno dei musicisti piu' richiesti e apprezzati in Italia, all'estero e dalle grandi star del jazz targato USA: l'abbiamo incontrato a Genova, di ritorno da uno dei suo tanti concerti estivi.

Una carriera trentennale per uno dei musicisti piu' richiesti e apprezzati in Italia, all'estero e dalle grandi star del jazz targato USA: l'abbiamo incontrato a Genova, di ritorno da uno dei suo tanti concerti estivi.

Raccontaci brevemente qualcosa di te riguardo alla tua storia personale e alla tua carriera artistica.
Completamente autodidatta, mi sono avvicinato alla musica sin da ragazzino e non provenendo da una famiglia di musicisti il mio approccio è stato del tutto istintivo. Intorno ai 20 anni ho cominciato con i primi concerti e ho incontrato i primi jazzisti americani, con cui mi sono esibito prevalentemente al Louisiana Jazz club di Genova. Tra i miei primi compagni di avventura c’erano tra gli altri Andrea Pozza, Dado Moroni, Giampaolo Casati, Claudio Capurro e tanti altri ancora. Posso affermare senza alcun dubbio che eravamo un bel gruppo di musicisti genovesi più o meno coetanei con i quali si scambiavano esperienze di vita e musica. Di seguito incoraggiato dagli apprezzamenti ricevuti, ho deciso di fare della passione per la musica, la mia professione.I miei ricordi più belli sono comunque legati a esperienze, direi convivenze con grandi jazzisti americani che hanno “inventato” il Jazz. Questo è stato il mio imprinting personale, quello che porto tuttora con me: “il jazz americano!”.

Come nasce la tua passione per la musica ed in particolare per il Jazz?
Come gran parte dei ragazzi pre adolescenti, si suonava la chitarra e il rock. Per me questo durò poco. Un giorno ascoltai per caso una linea di basso “jazz”, ne rimasi talmente colpito che comprai un basso elettrico e successivamente il mio primo contrabbasso. Fu subito amore per questa musica, per questo strumento che tuttora è la mia vita.

Nell’arco della tua carriera trentennale, hai avuto modo di essere al fianco di grandi star del firmamento jazz nazionale ed internazionale. Ci racconti qualche aneddoto o qualche situazione che ricordi con piacere
Il mio primo tour con Jimmy Cobb, eravamo al teatro Lauro Rossi di Macerata. Nell'impianto di amplificazione si sentiva chiaramente un’interferenza radio, si trattava di Radio Maria... Non potendo usare l’amplificazione, mi vidi costretto a suonare in acustico. Grazie, o a causa di quell’interferenza, da quel giorno decisi che avrei sempre suonato in acustico. Ricordo con grande piacere anche la convivenza durante i tour, in particolare con Bobby Durham che divenne un vero amico. Ho ricordi bellissimi anche di Benny Golson che mi invitò a New York, Clifford Jordan che mi chiamava Wilbur Ware...

Vista la tua esperienza anche nel campo dell’insegnamento, secondo te cosa si può o si deve fare oggi per la formazione musicale?
Il jazz richiede una grande preparazione teorica e strumentale che s'impara in maniera convenzionale. Suonare Jazz però significa anche imparare a suonare con ed insieme agli altri. Nei così detti “anni d'oro”, bastava semplicemente uscire di casa e andare in uno dei tantissimi jazz club per ascoltare e soprattutto partecipare alle jam session. Si imparavano velocemente tutte le regole di “comportamento” jazzistico.
Attualmente ben vengano i corsi di musica d'insieme che simulano tali situazioni sotto la direzione di un musicista esperto.

La produzione discografica che ti vede coinvolto supera abbondantemente i 200 cd; tra tutti questi ce n’è uno al quale sei particolarmente legato e perché?
Non sono legato ad un cd in modo particolare. In tutti ho cercato di dare il massimo. Ricordo comunque con piacere alcune registrazioni: “The masquerade is over” (Benny Golson), “Last recording” (Benny Bailey), “The clarinet album” (Tony Scott), “Second Time” (Clark Terry) e tutti quelli incisi con Jimmy Cobb e Bobby Durham.

Quali sono le caratteristiche che rendono una Song, uno standard destinato a durare nel tempo?
Certamente la bellezza oggettiva. Una bella melodia che sappia rimanere impressa e una base armonica adatta a costruire un'improvvisazione sono caratteristiche che si ritrovano negli Standard dei grandi autori americani della prima metà del secolo scorso. Non erano Jazzisti, piuttosto compositori che lavoravano nei musical. Hanno creato tantissimo materiale di qualità adottato dai jazzisti che lo hanno usato e modificato facendolo proprio. Anche molti brani originali scritti da jazzisti sono diventati parte di questo bagaglio culturale.

Si dice che tu stia lavorando ad un progetto tutto tuo: ci puoi anticipare qualcosa?
Vorrei dire che il progetto è ancora “Top Secret” ... Ci stiamo lavorando da qualche tempo e le idee non mancano. In ogni caso, come mio primo disco da leader, voglio fare qualcosa che possa sorprendere e soprattutto sorprendermi.

Quali sono i tuoi prossimi impegni?
A fine agosto sarò nel quartetto di John Donaldson al “2 Laghi Jazz Festival” e il 31 ad Avigliana e tutto questo dopo una serie di concerti che mi hanno visto al Salento Jazz Festival con Massino Faraò e Steve Williams, a Chiavari con Dado Moroni, ad Imperia con Scott Hamilton e Riccardo Zegna e nel quartetto di Andrea Pozza (qui in foto) a Rapallo e Valle Christi. Come per i mesi estivi, anche il mese di settembre si preannuncia molto ricco di impegni infatti sarò a Cipro con la straordinaria cantante Denise King e poi a Lugano in Svizzera di nuovo con Andrea Pozza. Tantissime le altre date sempre in giro per l’Italia. Da ottobre poi riprenderanno anche i miei corsi di Musica di Insieme a Genova.



Come possiamo seguirti?
Per il momento sulla mia pagina Facebook dove oltre a curiosità di vario genere, sono riportate le date dei miei concerti. A breve poi, chi volesse, potrà seguirmi anche sul mio nuovo sito internet che porterà semplicemente il mio nome.

Cosa significa oggi per un musicista potersi esibire dal vivo e quali sono le tue sensazioni quando sei sul palco?
Esibirsi dal vivo è vitale, indispensabile per tutti ed in particolare per chi suona Jazz. È una musica nata sul campo, nei club. Quello che faccio è salire sul palco e cercare di essere concentrato al massimo in qualsiasi situazione; cercare di suonare sempre meglio della volta precedente. A casa si fa il lavoro di studio, s'impara il linguaggio, l’ortografia, la sintassi ma è sul palco che si “parla” con gli altri musicisti.







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