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Pubblicato il 16/06/2014 alle 13:14:09
Enrico Erriquez Greppi: il ritorno Improbabile della Bandabardò
di Antonio Ranalli
Anticonvenzionale, impegnata e dai suoni sempre allegri, torna la Bandabardò con “L'improbabile” (Warner Music). Ne abbiamo parlato con Enrico “Erriquez” Greppi.

Anticonvenzionale, impegnata e dai suoni sempre allegri, torna la Bandabardò con “L'improbabile” (Warner Music)

"L'improbabile perché è così che ci sentiamo noi”, ha spiegato il cantante e musicista, “quando dobbiamo partecipare a una qualsiasi manifestazione o a uno spettacolo televisivo. Sempre inadatti per questi tempi moderni, per come ci vestiamo e non solo. Ci sentiamo bene solo sul palco dei nostri concerti”. In attesa di tornare ad esibirsi dal vivo (il tour partirà il 21 giugno), abbiamo ripercorso con Greppi i 20 anni di carriera della band toscana.

Antonio Ranalli: Come band siete sempre stata molto prolifica e spesso tra un album e l’altro non passavano mai più di due anni. Questa volta vi siete presi più tempo per “L’improbabile”. Questa attesa più lunga è più un caso o una necessità?

E. Greppi: E’ stata una necessità arrivata al momento giusto. Quando siamo arrivati al 2013 ci siamo accolti che la band festeggiava i 20 anni di attività. Siccome siamo festaioli e poco propensi all’autocelebrazione ci siamo detti: fermiamoci un attimo per riassaporare i momenti vissuti. Così abbiamo ricordato e rivissuto quelle emozioni per la prima volta, come quando abbiamo suonato con Manu Chao, che ci chiese di suonare due pezzi prima di lui, oppure aver avuto la possibilità di suonare nei posti più belli del mondo, in Italia e all’estero, come in Canada e in Svizzera. Il disco lo abbiamo realizzato con più calma e più gioia. E l’obiettivo è sicuramente riuscito. L’idea era quella di fare un disco con canzoni che piacessero a tutti noi e che avessero il loro vestito perfetto. Credo che abbiamo fatto la versione migliore di ogni canzone presente nel CD.

Antonio Ranalli: Un altro aspetto che colpisce è che siete tornati a lavorare per una major, in questa caso la Warner. La vostra scelta di essere indipendenti risale al 2001, ai tempi del live “Se mi rilasso… collasso”. A mio avviso è stata una scelta giusta. Ritenete concluso il periodo dell’autoproduzione?

E. Greppi: Il concetto di indipendenza mi sta così tanto a cuore che non lo vorrei paralizzare con una scelta professionale. L’indipendenza è nello scrivere le canzoni, nel modo di salire sul palco e nella scelta di produrre i dischi. Guardando indietro alla nostra storia non ci siamo mai copiati, non abbiamo mai seguito mode o fatto canzoni sul modello di alcune particolarmente in voga. Bisogna inoltre ricordare che i nostri primi album uscirono proprio con una major, ma allora nessuno ci aveva mai imposto o detto cosa fare. Qualche fans potrebbe non capire questa nostra scelta. Ma ebbene ricordare che oggi le multinazionali hanno un giro di affari molto ridotto rispetto al passato. Noi lavoriamo con delle persone molto deliziose e professionalmente eccellenti. Per questo nuovo progetto cercavamo dei partner capaci. Da indipendenti, per quanto ci siamo trovati bene con Venus, che purtroppo è fallita, non riuscivamo a far arrivare i nostri dischi in tutti i posti. La Warner ha lavorato bene già con il video e ha prodotto un oggetto d’arte importante. Lavorare con una casa discografica importante ti permette di far ascoltare la tua musica ovunque. Ma non si tratta di vendersi al mercato.

Antonio Ranalli: Entriamo invece nel merito dei contenuti del nuovo disco. Ascoltando le varie tracce dell’album si nota una venatura elettronica. Quando avete iniziato a registrare il disco che suono avevate in mente?

E. Greppi: L’unico progetto che c’era, tra me, Finaz e il fonico, era quello di verificare quanta voglia ed allegria avessimo ancora dentro di noi. La risposta è stata fantastica. Siamo partiti con grande gioia e libertà mentale. Ormai siamo ad un livello di rapporti all’interno del gruppo che se ad esempio propongo di usare la batteria elettronica, il batterista sarà il primo a riconoscere che quella può essere la scelta giusta del pezzo. Non solo. In questo disco io suono il basso in alcuni pezzi: lo considero un omaggio ai Litfiba anni ’80, visto che mi sento un po’ Gianni Maroccolo. Fondamentalmente a noi piace tutta la musica. E’ chiaro che non avremo mai un brano che avrà l’elettronica come base fondamentale. Ma ci siamo sbizzarriti a musicare i nostri testi e far si che ogni canzone fosse la colonna sonora giusta. Musicalmente siamo abbastanza didascalici. Per il resto ci lasciamo molto andare.

Antonio Ranalli: Com'è nata invece la collaborazione con Alessandra Contini de Il Genio, presente nel primo singolo “E allora il cuore”?

E. Greppi: Da tempo desideravo fare un connubio maschio / femmina nella Banda. A tal proposito ci sono stati diversi nomi presi in considerazione. Io ho pensato subito ad Alessandra perché è la miglior esponente in Italia nello stile vocale sottile e seducente alla Jane Birkin e Serge Gainsbourg. Lei è arrivata con grnade gioia, tanto che alla fine ha collaborato in ben otto canzoni. Ha proposto cori alla Beach Boys ed è molto preparata.

Antonio Ranalli: Per i testi invece vi siete avvalsi della collaborazione del poeta e paroliere Francesco Gazzè. Quando vi siete confrontati con lui per la prima volta gli avete dato carta bianca o avete in qualche modo suggerito tematiche in linea con lo spirito della Bandabardò?

E. Greppi: Quando mi sono seduto a tavola pensando al disco mi sono reso conto che questo sarebbe stato il nostro 11° disco e mi sono reso conto di essere arrivato a scrivere la canzone numero 96. Io sono molto fissato con i numeri e conto tutto. Così, quando stavo per arrivare alla canzone numero 100, mi sono detto “e ora, che cosa racconto?”. Così ho deciso di farmi aiutare da una persona che stimo tantissimo, che è appunto Francesco. Con lui siamo partiti da un modo secondo me molto attuale di una parte di italiani, che si considera vincente, e che tra una risata e l’altra calcola quando può guadagnarci da una ricostruzione. E ancora dal fatto di avere a tutti i costi quel momento di notorietà come diceva Andy Warhol. Sono così arrivati 11 testi. Per questo lavoro ci siamo concessi un soggiorno alla Libera Università di Alcatraz di Jacopo Fo.

Antonio Ranalli: In arrivo ci sono tanti concerti. Del resto il live è senza dubbio la vostra dimensione ideale. Quali sono i sacrifici che una band come la vostra deve fare a fronte di tour così lunghi?

E. Greppi: E’ sempre un piacere enorme, altrimenti non lo avremmo mai fatto. Questa vita ci ha talmente ripagato che qualche sacrificio, a livello umano, lo abbiamo fatto. Io stesso mi sono ritrovato mio figlio ventenne, ma lui si è ritrovato un padre onesto, sempre allegro, sereno e divertente. E’ stato faticoso avere un treno di vita, ma la fatica la senti solo quando ti fermi. Ora si ricomincia. Forse faremo meno concerto rispetto al passato, perché ci saranno concerti più grandi, che raduneranno probabilmente più persone. Però non voglio sminuire il lavoro fatto in studio visto che comunque, i nostri ultimi 5 dischi, sono entrati sempre nella Top 10. Significa che il nostro materiale è stato apprezzato.

Antonio Ranalli: Il vostro pubblico vi ripaga inoltre di un grande affetto. In questi anni il vostro pubblico è rimasto lo stesso oppure avete notato anche l’arrivo di nuove generazioni ai vostri concerti?

E. Greppi: Il ricambio c’è stato. Oltre al pubblico storico, che ci gratifica ancora, ci sono anche le nuove generazioni. Chi ci ha conosciuto tanti anni fa ma si è presi la briga di spargere il verbo. Si è stabilito questo treno di persone che oggi portano ai concerti anche i loro figlioli. Inoltre, chi viene ad un nostro concerto è in qualche modo già erudito, perché sa già quello che trova: si canta, si balla e ci si diverte. Non è un concerto fashion e un evento in cui devi apparire. Noi ci battiamo molto su questo.

Antonio Ranalli: Come avete trovato il docufilm “Bandabardò - Un mistero italiano" realizzato con Carlo Lucarelli?

E. Greppi: Bellissimo, anche perché lo abbiamo scritto noi. Carlo è stato fantastico nel mescolare i suoi modi di essere. Lui ha raccontato grandi gialli ma anche grandi falsi nella storia del rock’n’roll. Anche noi ci abbiamo messo dentro qualche boiata e lui si è divertito moltissimo ad inserire i vari elementi nel racconto. Ci siamo seduti a ripercorrere i nostri 20 anni di carriera. Ho chiesto ad esempio ad Orla di ripercorrere quello che è stato tutto il nostro percorso in Italia, a Finaz invece la parte all’estero. Ognuno ha scritto capitoli sulla vita della Banda, le collaborazioni e pacche sulle spalle ricevute da persone che stimiamo da Manu Chao ad Adriano Sofri. Tutto questo da un senso a tutto quello che abbiamo fatto. Fermo restando che per noi la parola successo è legata al fatto che abbiamo messo su una “ditta” 20 anni fa e che, oggi, a parte il percussionista, siamo rimasti sempre gli stessi. Tutti noi abbiamo altri amori musicali, ma la Banda è la Banda. In 21 anni abbiamo vissuto insieme tante cose che, nel bene e nel male, ci hanno legato molto.

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