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Pubblicato il 31/03/2018 alle 15:39:07
Marco Acquarelli, tra sperimentazione ritmica e ricerca sonora
di Manuela Ippolito Giardi
Pubblicato da Filibusta Record, “Drops” è l’ultimo disco del chitarrista Marco Acquarelli: un progetto che si differenzia molto dai precedenti lavori ed in cui è presente una sperimentazione continua che passa dalla ritmica alla ricerca del suono.

Pubblicato da Filibusta Record, “Drops” è l’ultimo disco del chitarrista Marco Acquarelli: un progetto che si differenzia molto dai precedenti lavori ed in cui è presente una sperimentazione continua che passa dalla ritmica alla ricerca del suono. Completano questa formazione Fabio Sasso alla batteria, Francesco Ponticelli al contrabbasso e Daniele Tittarelli al sax. Marco Acquarelli ha raccontato quest’ultima esperienza discografica.

Come nasce il progetto a tuo nome?

Era molto tempo che desideravo concentrarmi di più sulla composizione come argomento di studio e ricerca perché credo sia qualcosa che possa completare un improvvisatore e che lo aiuti ad avere una immagine più chiara di sé, di ciò che vuole suonare e come. Quindi nel giro di un po’ di mesi mi sono ritrovato ad avere abbastanza materiale da provare con la formazione a cui avevo pensato scrivendo i pezzi, che ancora non erano nella forma che hanno ora.

Cosa ci puoi dire del disco “Drops”? C’è un concept nel disco?

I brani sono stati tutti ideati e modificati insieme al gruppo in un tempo relativamente breve (anche se il disco è stato registrato successivamente) e ritraggono un periodo stilisticamente abbastanza coerente. I brani hanno elementi comuni elaborati in modo differente e questo forse contribuisce a esprimere un concetto musicalmente unitario.

Come hai composto i tuoi brani? La fase creativa dei brani in questo lavoro da quali ispirazioni è partita?

Scrivere musica da improvvisare è per me molto faticoso, forse per questo desidero praticarla di più. Spesso, ma non sempre, l’idea di un brano nasce da qualcosa che sto studiando sullo strumento o sul piano. Tuttavia è solo uno spunto su cui devo lavorare duramente perché raggiunga una forma che a sua volta viene spesso rielaborata quando il brano viene suonato, togliendo qualcosa di ciò che avevo aggiunto: è un doppio lavoro ma per ora è così. Credo di aver bisogno di suonare i pezzi con qualcuno che stimo per capire veramente come sono.

Raccontaci dell’immagine di copertina?

E’ un particolare del muro di Berlino preso da una foto di una persona molto importante per me e la mia famiglia che ora non c’è più. Frugando fra le foto dei suoi viaggi ho trovato questo graffito, ho notato questo particolare che secondo me rende perfettamente l’idea del gruppo, o di ciò che dovrebbe essere un gruppo come questo. Ci è voluto poco per far sì che ci entrassi dentro, ma ad un certo punto è apparsa.

Come descrivi il tuo lavoro artistico?

Di questi tempi trovare tempo per qualcosa di veramente artistico è molto difficile, forse dovremmo sforzarci di mettere qualcosa di artistico in tutto quello che facciamo. Per me e credo per molti altri, è prima di tutto qualcosa che desidero fare, per motivi diversi, in cui vuoi mettere tutto.

Quali sono i riferimenti musicali che ti accompagnano?

Ho iniziato suonando la chitarra classica, l’ho studiata per molti anni e la suono ancora in diversi contesti, poi dopo un paio d’anni è entrata in casa una Stratocaster, in primo liceo sono entrato in gruppo di ragazzi più grandi e non ne sono voluto uscire più. Ho scoperto che mi piaceva moltissimo, più che suonare da solo, anche se ho continuato a farlo per molti anni. Il jazz è arrivato qualche anno dopo e credo sia la musica che ho ascoltato più a lungo ed approfonditamente anche se negli anni mi sono avvicinato o ri-avvicinato ad altre cose come Hendrix, il blues classico, qualche compositore moderno e contemporaneo, musica elettronica, hip hop. Diciamo che internet è stata più che altro una cosa da cui difendermi che da sfruttare, appartengo a una delle ultime generazioni di musicisti cresciuti studiando senza internet ed ascoltando a rotazione un numero limitato di dischi. Sto ancora cercando di gestire l’arrivo degli mp3 e dello streaming per non disperdermi troppo, sono molto curioso ma non si può conoscere tutto, forse è meglio conoscere bene.

Meglio i live o studio? Come descrivi il tuo live?

Per me la musica vera è dal vivo, una registrazione è più un documento, soprattutto se stai improvvisando. Ovviamente vivo in modo molto diverso lo studio se devo suonare un disco mio oppure qualcosa per altri, come ambiente mi piace moltissimo e mi diverte soprattutto quando ho finito di suonare. Registrare un buon disco richiede la capacità di evocare la freschezza e l’ispirazione di un concerto in posto dove al posto del pubblico ci sono dei microfoni, è difficile e richiede molta esperienza. Non saprei descrivere il mio live, posso dire che volevo sperimentare un gruppo senza piano che è una cosa che certamente caratterizza il suono d’insieme. Concentrarsi sulla musica significa suonare come se non ci fosse nessuno oltre i musicisti, immergersi totalmente, ma se dicessi che in questo non è coinvolto anche il pubblico mentirei.

Come hai scelto i musicisti che ti accompagnano in questa avventura?

Quando stavo scrivendo i pezzi ho pensato che avrei voluto suonarli con Daniele, siamo amici e suoniamo insieme da molti anni, è uno di quelli da cui ho imparato ed imparo di più ma ancora non avevamo mai registrato insieme, Fabio è più giovane ed abbiamo condiviso altre situazioni quando è nata questa, insieme abbiamo pensato che Francesco sarebbe stato perfetto, come bassista e come idee su come suonare i pezzi. C’è stato un periodo in cui comunque ci frequentavamo e suonavamo tutti e quattro nel collettivo. Sono tutti musicisti che ammiro e che sanno mettersi al servizio della musica.

Siete un quartetto di musicisti tutti di alto livello, come si trova il giusto equilibrio, sia in studio che dal vivo?

Per me i musicisti bravi sono totalmente concentrati sulla musica, sul risultato finale, su ciò che serve perché il gruppo suoni bene, è solo di questo che c’è bisogno e loro lo fanno sempre.

Sei molto legato all’attività dell’Agus Collective presso il Cantiere a Roma, dove con regolarità programmate dei concerti di artisti stranieri e italiani: ci può dire in breve il valore di questo esperimento gestito direttamente dai musicisti stessi?

Per me ha un valore enorme, soprattutto come esperienza umana ed artistica, prima che politica se così si può dire. Non credo ci sia di meglio che mettere insieme un gruppo di persone che si stimano e si vogliono bene a fare una cosa che amano profondamente come suonare ed ascoltare musica. Stiamo attraversando un momento storico che ci ha spinto a pensare ci fosse bisogno di unirsi, di fare gruppo e fare qualcosa di concreto, soprattutto per noi stessi e per il pubblico inteso come persone interessate a condividere un esperienza, come hanno fatto altri in passato auspicando che altri facciano lo stesso in futuro.

Progetti futuri oltre a promuovere questo CD?

Un altro libro, stavolta in collaborazione con uno dei miei musicisti preferiti e carissimo amico Enrico Bracco.

Per chiudere: un romantico è necessariamente triste, riprendendo il titolo del tuo brano “Romantico Triste”?

Un brano malinconico ha bisogno di un titolo ironico, per non prendersi troppo sul serio.




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