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Interviste
Pubblicato il 24/07/2015 alle 09:15:32
Maurizio Malabruzzi, regista rock alla guida del Blubar Festival
di Antonio Ranalli
Scopriamo la nuova edizione del Blubar Festival di Francavilla al Mare (Chieti) con il direttore artistico Maurizio Malabruzzi, uno dei più importanti registi che ha portato la grande musica rock in Rai.

Scopriamo la nuova edizione del Blubar Festival di Francavilla al Mare (Chieti) con il direttore artistico Maurizio Malabruzzi, uno dei più importanti registi che ha portato la grande musica rock in Rai.

Dal 5 al 9 agosto in Abruzzo, a Francavilla al Mare (Chieti), si svolgerà la nuova edizione del Blubar Festival. La manifestazione, che vede ospiti artisti come Nomadi, Elliot Murphy, Graziano Romani e Fausto Leali, è organizzata dall’associazione musicale Blubar, che si avvale della collaborazione del regista Maurizio Malabruzzi (nella foto di Luciano Onza).

Agli appassionati di rock e musica in generale il nome di Malabruzzi è considerato al pari di quello di tanti idoli della musica. A lui si devono alcune delle più importanti trasmissioni musicali andate in onda sulla Rai, spesso scoprendo e anticipando in tv artisti e filoni musicali prima della loro definitiva affermazione. Attualmente Malabruzzi è regista di “Agorà”, ma la musica non manca mai nelle sue attività quotidiane, come dimostra sulla sua pagina Facebook. Di recente ha firmato la regia della prima serata “Vedi chi erano i Beatles”, andata in onda su Rai 3.

Il Blubar festival cresce sempre di più. Quest’anno, per la dodicesima edizione, arriverà anche Elliot Murphy, a dimostrazione della credibilità raggiunta dalla manifestazione. Qual è la filosofia che anima questo festival?

Nel corso degli anni è leggermente cambiata: inizialmente sul palco trovavano posto solo gruppi che avevano suonato negli anni ’60 o che a quel periodo storico si rivolgevano, anno dopo anno abbiamo modificato il nostro “statuto” e, da rassegna dei gruppi degli anni Sessanta, siamo arrivati a un festival vero e proprio, con la musica e i musicisti che hanno cambiato l’Italia.

La prima serata, quella del 5 agosto, sarà dedicata a Pino Daniele. Sul palco gli Osanna, i Napoli Centrale guidati da James Senese e il Neapolitan Power Quintet con Tony Esposito. Pino Daniele ha lasciato un vuoto incolmabile. Che ricorda conserva di questo grande cantautore?

È ancora troppo presto per dire qualcosa di sensato, è nella memoria di molti, e forse il Pino Daniele più intimista, diciamo poetico, è quello che preferisco. Recentemente è uscita una versione speciale di “Nero a metà”: vi consiglio di andare ad ascoltare i brani inediti in essa contenuti. Poi la serata sarà una grande festa, che il Blubar insieme a Lino Vairetti ha fortemente voluto.

A chiudere la manifestazione, il 9 agosto, saranno i Nomadi. A questo gruppo è legato un momento importante della sua carriera. Mi riferisco alla trasmissione “Canzoni del futuro”, andata in onda il 18 novembre 1992 su Rai3, contenente una delle ultime interviste ad Augusto Daolio, realizzata prima della prematura scomparsa. Qual è il suo ricordo di questo grande artista?

Ti ringrazio di questo ricordo: quello fu un progetto strano per la Rai3 di allora, riuscire a trovare un senso comune alle canzoni. E l’intervista ad Augusto fu una delle cose più illuminanti di quella serie. Ricordo anche che incontrai Beppe Carletti per un’altra intervista: era seduto davanti a un pianoforte, uno di quelli verticali, niente di prestigioso, e coincideva con il compleanno di Augusto. Ci guardammo e, senza neanche chiederglielo, Carletti improvvisò un “Tanti Auguri”, tra le mie e le sue lacrime.

Tornando a quella trasmissione, ricordo che faceva parte di una serie ben più ampia, dove ogni puntata era dedicata ad un tema diverso, come ecologia, guerra e pace. Come nacque quel ciclo?

Come dicevo, fu un progetto ardito: cercai di trovare un senso alle canzoni, ricordo che passammo al setaccio centinaia di brani, intervistammo decine di musicisti, cercando di dare un senso alle parole della musica. E un senso, ovviamente, lo trovammo.

Il suo nome è indubbiamente legato alla storia della tv musicale italiana. Per certi aspetti lei può essere considerato il Julien Temple italiano. Che cosa l’ha portata a specializzarsi nella tv musicale? Come e dove ha mosso i primi passi?

Magari fossi il Julien Temple italiano! Vorrebbe dire che avrei incontrato dei Sex Pistols nostrani… A parte gli scherzi, ho iniziato, come dico spesso, “l’altro secolo” con una delle radio libere, così si chiamavano, di Roma: eravamo un gruppo di pazzi a cui piaceva la musica, poco dopo andai a lavorare per Rai3, chiamato da Fabio Fazio per un programma “giovanile”. Il resto è avvenuto da sé.

Un'altra cosa che mi ha colpito, rivedendo trasmissioni come “Black & Blue” (in onda nel 1989 su Rai3), è che riuscivate a dare spazio a realtà assolutamente emergenti e indipendenti. Penso alla puntata “Rock ’88”, incentrata su un concorso per realtà emergenti. Perché oggi non si riesce a proporre uno spazio analogo in grado di far conoscere artisti che continuano a credere nel live e non nei talent show?

È tutto cambiato, veramente tutto. Ascolti mai la radio fm?

Intorno al 1997, lei ha invece realizzato speciali su artisti come i Litfiba e la trasmissione “In tour”, spaziando da Jackson Browne a Fiorella Mannoia, fino a festival come quello di Porretta. Avendo seguito tanti artisti, di quali ha un ricordo particolare?

Anche quello fu un progetto ardito: decisi di seguire dei musicisti durante i loro tour. Ricordo che con i Litfiba ci passai quasi un mese, con il Banco del Mutuo Soccorso, invece, pochi giorni ma intensissimi. Ero insieme agli Avion Travel al Festival di Sanremo quando vinsero. Con Jackson Browne o James Taylor fu intesa a prima vista. Ivano Fossati, che mi chiamò durante la data di un suo tour, mi disse: “Noi suoniamo questo, ci riesci a far vedere? Mi fido solo di te”.

In tempi più recenti in tv ha attraversato generi diversi, da “La storia siamo noi”, dove comunque non sono mancate incursioni nella musica, fino ad “Agorà”, di cui è tuttora regista. Però di recente è tornato alla musica con la prima serata “Vedi chi erano i Beatles”, condotta da Fabrizio Frizzi su Rai3. Che approccio ha avuto nel preparare questa trasmissione?

Dimentichi tra le cose fatte, a cui invece tengo molto, la serie di trasmissioni di “Mediamente” realizzate con Carlo Massarini nello studio virtuale della Rai di Napoli. La trasmissione sui 50 anni dei Beatles in Italia era un progetto di Fabrizio Frizzi e Mario Pezzolla: non so da quanti mesi ci lavoravano. Sono arrivato e ho provato a inserire delle variabili, ma ho capito che era un progetto chiuso, in pratica un loro figlio. Ho fatto il regista e dato ordine al copione, mi sono divertito a inventare la grafica del grande studio Dear5. Lavorare con Frizzi e tutto il suo staff di autori è stato un vero piacere. Conoscevo Fabrizio fin dai tempi delle radio romane di cui sopra. Alla fine tutto torna.

Tra le sue esperienze lavorative figura Radio Roma Uno, che trasmetteva da Via della Mercede 92 sui 95,500 MHZ. Lei era uno dei direttori dei programmi. Che cosa ricorda di quel periodo?

Radio Roma Uno fu uno degli ultimi lavori con la radio: venivo dalla direzione di Radio Blù e Radio Città Futura, era un’emittente che voleva essere internazionale, e molti degli speaker e autori non parlavano in italiano.

Per chiudere, una domanda che ci piace fare sempre. Quali sono i cinque dischi fondamentali per Maurizio Malabruzzi?

Difficilissimo. Sicuramente uno dei Grateful Dead, uno dei Talking Heads, uno di Brian Eno, uno di John Coltrane e uno di David Crosby. Tra i “giovani” aggiungerei un Thom Yorke con i Radiohead e Bjork. E se proprio c’è spazio per un italiano, sicuramente Ivano Fossati.

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