I Nomadi ci raccontano il live con l’orchestra sinfonica

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“L’album che ci accingiamo a presentare non ha precedenti in Italia e, in tutto il mondo, solo una decina di band (come Deep Purple e Metallica, nda) si sono cimentate in progetti analoghi”. Beppe Carletti, fondatore e tastierista dei Nomadi, è decisamente felice di fronte all’ultima pubblicazione del suo gruppo. Si tratta di “Nomadi & Omnia Symphony Orchestra” (Atlantic / Warner Music), un doppio CD e relativo Dvd (disponibili anche in formato cofanetto) che documenta l’incontro tra i Nomadi ed un’orchestra sinfonica di ben 79 elementi, diretti dal Maestro Bruno Santori. Il contenuto di questo imperdibile album, consigliato anche a tutti gli audiofili per l’impeccabile qualità sonora e tecnica dell’incisione, è il resoconto dei due concerti tenuti il 6 e 7 aprile al PalaBrescia insieme appunto alla Omnia Symphony Orchestra. Beppe Carletti, che nella sua carriera con il gruppo ha inciso poco meno di 300 canzoni (scusate se è poco), si è dunque ritrovato con i suoi compagni di viaggio a selezionare dal loro vasto repertorio una quarantina di canzoni che, orchestrate in chiave orchestrale, rappresentano un’ideale viaggio nell’evoluzione sonora dei Nomadi.

Di un album con un’orchestra sinfonica ne parlavi già da alcuni anni. Ora sei riuscito a concretizzare questo sogno. Quali sono state le difficoltà?

Si tratta di un progetto che nessuna band italiana ha mai affrontato prima. Del resto un lavoro di questo tipo comporta dei costi non indifferenti. A noi, il prodotto finito, è costato all’incirca 300 mila euro. Abbiamo registrato l’album con la Omnia Symphony Orchestra, che è di Brescia, sotto la guida del Maestro Bruno Santori, che a sua volta vive tra Brescia e Bergamo. La location ottimale non poteva che essere il PalaBrescia, struttura che sia per acustica che per logistica faceva al caso nostro. Una volta deciso di partire con il progetto la Warner, che ha appoggiato l’iniziativa, è intervenuta per una parte del budget. Il resto lo abbiamo recuperato dagli sponsor che, mai come in questo caso, si sono rivelati fondametali, e in piccola parte dall’incasso delle due serate. C’è da dire che i costi sarebbero stati molto più alti. Ma tanti anni passati a gestirci e a produrci in proprio sono tornati utili.

In Italia nessuno ha mai realizzato un album dal vivo con un’orchestra di circa 80 elementi. Ti ha ispirato qualche album analogo nell’ambito del rock internazionale? Quanto, invece, ha inciso la partecipazione al Festival di Sanremo del 2006, dove appunto si suona con l’orchestra, nell’accellerare la realizzazione di questo sogno?

Ho sempre ascoltato con grande interesse e passione i Pink Floyd, che hanno fatto molti progetti con orchestre di questo tipo. Ma il mio era solo un sogno. Non voglio fare paragoni con uno dei più grandi gruppi della storia del rock. Noi siamo fieri di aver fatto questo progetto che avevamo in mente da tempo. Indubbiamente a Sanremo è scattata la molla. In quell’occasione abbiamo lavorato con Bruno Santori, che in qualche modo ci ha lanciato l’idea. Ne abbiamo iniziato a parlare con la Warner, abbiamo fatto riunioni e confronti e poi sono arrivati anche gli sponsor. C’è da dire che in questo caso Sanremo è servito: dopo quel momento in tanti si sono avvicinati a noi.

Com’è stata la preparazione dei due concerti?
Abbiamo fatto quattro giorni di prove prima dei due concerti. Siamo arrivati all’ultima sera di prove con ancora due canzoni da provare. Ricordo che chiesi ai musicisti se si potevano trattenere qualche ora di più. Del resto anche per loro si trattava di una prima volta: non capita tutti i giorni di suonare un concerto intero con un gruppo rock. Da parte di tutti c’era voglia di fare qualcosa di bello. Prima dei concerti abbiamo registrato al Maestro Bruno Santori una serie di nostri brani, per fargli capire come suonavamo. Poi lui è venuto a vederci in diversi concerti, così da studiare anche il repertorio più adatto.

Sulla scelta delle canzoni come vi siete regolati?
Questa è stata sicuramente la parte più difficile. Alcuni brani, come Io vagabondo e Ho difeso il mio amore, era impossibile non inserirli. Poi ci sono quelle che a noi ci sembravano più adatte, come La collina e Asia di Francesco Guccini. Altre ancora, come Trovare Dio, per la loro particolare natura, le davamo già per fatte. Abbiamo recuperato Immagini, una b-side del 45 giri Senza discutere (e inclusa nell’album Gordon, nda). Tra le canzoni escluse c’è Un giorno insieme perché la versione originale venne incisa in studio con l’orchestra, e quindi ci sembrava quasi scontata. Su Io vagabondo, invece, c’è una curiosità: questo brano, inciso nel 1972, aveva molte parti orchestrali, che creai con il Mellotron. Oggi, invece, questo brano può essere apprezzato in tutto il suo splendore grazie all’orchestra.

Hai accennato alla presenza di alcuni brani di Francesco Guccini. Gli hai accennato di questo progetto?
A dire il vero, l’ultima volta che l’ho sentito, questo progetto era ancora in fase embrionale. Non ne abbiamo parlato molto in giro per tenere la l’idea segreta. Comunque spedirò a Francesco il CD e gli dirò di ascoltare con attenzione i suoi brani in versione orchestrale, che secondo me acquistano davvero tanto. Nelle sue canzoni non c’è solo poesia ma anche tanta musica.

Il doppio CD contiene 32 brani con l’orchestra, e altretanti il Dvd, seppur con tracklist differenti. Avete registrato anche altri brani che poi sono rimasti fuori dalla scaletta finale?

Si, questo è stato dovuto alla capienza dei supporti. Ma i quattro brani tagliati fuori potrebbero in futuro essere pubblicati. Complessivamente abbiamo registrato 36 brani. C’erano 16 brani diversi nella scaletta della prima e della seconda serata dei concerti al PalaBrescia. La seconda serata sono stati ripetuti 8 brani della sera precedente: erano quei brani che, dopo aver ascoltato la registrazione del primo concerto, presentavano piccoli difetti tecnici. Poi è successo che alcuni brani sono stati fatti anche per tre volti, oltre la scaletta ufficio. Abbiamo detto al pubblico “Scusate, noi dovremmo rifare alcune canzoni” e la gente era più che felice. A Brescia sono arrivati fans da tutta Italia anche perché per loro si è trattata di un’occasione unica.

Parliamo ora dei due brani inediti, “Ci vuole un senso” e “La mia terra”, che però non sono stati incisi con l’orchestra, ma in studio e rispecchiano decisamente il vostro lato rock. Come sono nati questi pezzi?

“Ci vuole un senso” è nato da un testo scritto da mia figlia Elena. Poi Danilo (Sacco, il vocalist nda) ci ha aggiunto altre cose che sentiva ed è venuta fuori questa canzone che parla della necessità, sempre più urgente, di trovare un senso al nostro vivere quotidiano. “La mia terra”, invece, da un lato parla del ricordo della propria terra, ma può anche la storia di due persone che si separano per andare a cercare fortuna in un altro luogo. Possono essere gli immigrati, ma anche persone che, per qualsiasi altro tipo di ragione, vanno all’estero e si ritrovano a pensare alla propria terra natia.

I Nomadi sostengono la candidatura di Enrico Letta alla guida del Partito Democratico. Com’è nata questa scelta?
Conosco Enrico Letta dal 1990. La prima volta lo incontrai a Firenze in occasione di un concerto organizzato per la caduta di Pinochet in Cile e quindi per il ritorno della democrazia in quel paese. Allora aveva poco più di 28 anni. Poi ci siamo rincontrati in diverse occasioni. Comunque, questa sorta di campagna degli artisti è nata da un articolo del Corriere della Sera, dopo le dichiarazioni di Francesco De Gregori a favore di Rosy Bindi. Hanno chiamato anche me. Io ho risposto “Sto con Letta”, e la giornalista mi dice: “Ma come, stai con quello più debole?”. Secondo me i più deboli oggi sono i più forti domani.

Quale canzone dei Nomadi dedichi ad Enrico Letta per questa sua avventura?
Sicuramente “La libertà di volare”, che non ha caso è stata scelta proprio dai suoi sostenitori come inno.

Dopo tanti anni di carriera che differenze riscontri tra la prima volta che sei salito sul palco e oggi?
Le prime volte mi divertivo meno di adesso. Non eravamo consapevoli di quello che rappresentavamo. Eravamo un po’ degli irresponsabili. Certo era bello ugualmente, ma oggi mi diverto di più. Solo questa estate abbiamo fatto 82 concerti in quattro mesi. Con Augusto siamo arrivati a fare 180 concerti in un anno. Quando leggo sui giornali l’intervista a qualche collega che dopo 20 date dice di essere stressato, mi viene da ridere. Dico, ma allora chi lavora in officina o in fabbrica tutto l’anno che cosa dovrebbe dire? Cantare e suonare è una passione, e noi artisti abbiamo la fortuna di fare un lavoro che ci piace. Non capisco la logica di fare il tour solo quando esce il disco. Noi questa estate abbiamo fatto concerti senza dischi in promozioni e canzoni trasmesse dalle radio. Ma la gente viene ugualmente a sentirci.

I Nomadi prediligono molto fare concerti in piccoli centri. Come mai?
Dico sempre che i paesi sono le nostre grandi città. Quando i concerti sono a pagamento vegono sempre almeno 2 mila persone. C’è gente che programma le vacanze in base al nostro calendario e ci ringraziano sempre per avergli fatto scoprire dei posti che non conoscevano. Noi amiamo stare in mezzo alla gente dei paesi, che hanno valori diversi. Questo traspare anche in alcune delle nostre canzoni. Noi stessi viviamo ancora nei paesi. Credo che questo aiuti molto ad essere se stessi.

Hai accennato che i due concerti con l’orchestra sono stati appuntamenti in qualche modo unici. Non c’è possibilità di replicare dal vivo il progetto?
L’11 novembre partiremo da Montepulciano con un tour teatrale, che si concluderà il 31 dicembre. Ma ovviamente non sarà con l’orchestra. Progetto che comunque stiamo pensando di riproporre per 5/6 date il prossimo anno, magari nel periodo estivo, in anfiteatri particolari: penso a quello di Cagliari o a quello di Macerata. E’ chiaro che tutto dipende dai costi, visto che tra orchestrali e tecnici si muovono non meno di 130 persone.