Una sera all’Hard Rock Cafè con Gianni Maroccolo

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Una carriera che vale la storia del rock italiano. Gianni Maroccolo ha deciso di ripercorrere oltre 30 anni di musica attraverso lo spettacolo Nulla è andato perso.

Gianni Maroccolo (nella foto di Alessandro Martino per Hard Rock Cafe) in un viaggio in cui parte dalla storica cantina di Via de Bardi 32 a Firenze, dove appunto faceva le prove con i Litfiba, a vdb23, il suo ultimo disco realizzato con il compianto Claudio Rocchi.

Abbiamo incontrato Gianni Maroccolo al romano Hard Rock Cafè il giorno Martedì 19 Aprile, alla vigilia del suo concerto al Monk di Roma. Una serata particolare, fortemente voluta dalla direzione dell’Hard Rock Cafè, per celebrare uno dei musicisti più significativi della musica italiana. Al tavolo con i giornalisti c’erano anche i musicisti che accompagnato Maroccolo sul palco, tutti nomi di primo piano, ovvero Antonio Aiazzi (Litfiba), Andrea ChimentiBeppe BrottoSimone Filippi e Alessandra Celletti, oltre al manager Enzo Onorato.

Tra una portata di nachos, un classic burger e 7 Up, ottimamente preparate e servite dal personale dell’Hard Rock Cafè, di cui era possibile constatare anche la competenza in fatto di musica, Gianni Maroccolo ha raccontato alcune curiosità sul suo spettacolo, oltre ad aneddoti e curiosità.

“Alcuni anni fa avevo deciso di smettere di suonare”, ha esordito Gianni Maroccolo, “Poi ho incontrato una grande persona, che è Claudio Rocchi, e mi ha fatto cambiare idea. Oggi sono qui a Roma con questa “big family”. Siamo cresciuti insieme, dai tempi del Consorzio a oggi. Abbiamo iniziato proprio da zero, dai primi dischi del Consorzio, dai newsgroup, forum e poi i raduni. Ci trovavamo qualche volta all’anno e suonavamo insieme. Ora c’è Facebook, Twitter… una buona parte di quelle persone di allora sono lì. E oggi proprio quelle persone, così come Claudio Rocchi, mi hanno spinto a trasformare quello che doveva essere un disco di addio in un disco di rinascita. Non è che fossi sfiduciato. Però pensavo di aver detto tutto quello che potevo dire”.

Nulla è andato perso è uno spettacolo affidato alla essenza della musica, della passione, degli incontri, della condivisione e di tutte le sfide che Gianni ha affrontato e vinto con l’autenticità̀ che lo contraddistingue. Maroccolo ha spiegato le difficoltà che ha avuto per arrivare al progetto. “E’ difficile fare un gruppo nuovo”, ha spiegato, “Poi penso che le alchimie non si ripetono mai. E’ giusto viverle, senza domandarsi con sta succedendo. La maggior parte dei gruppi si sfasciano al culmine del successo e quando vengono messe in discussione le alchimie naturali. A me è successo in due occasioni. La mia condivisione con questi gruppi è durata una decina d’anni. Poi vai a mettere in discussione delle cose, la vita cambia e ci si allontana. Ho deciso di fare questo disco (“vdb23/Nulla è andato perso” del 2013) di rinascita e di ripartire. Pensavo che non ci fossero altre chance perché non avevo intenzione di costruire un progetto di gruppo com’è stato negli anni ’80 con i Litfiba e negli anni ’90 con i C.S.I. Inoltre, c’è da dire che è faticosissimo. In questi gruppi, al di là del contributo creativo e musicale, sono stato dal punto di vista emotivo felicemente prosciugato. Per questo a questa età c’è il rischio di entrare in un progetto che non riuscisse a lasciare un segno. Non faccio parte di quella categoria di artisti che mantengono in vita le band utilizzando magari giovani musicisti”.

Claudio Rocchi è stato determinante in questo processo. “Poi ci sono quelli che riescono a ripartire inventandosi cose strane”, ha proseguito il musicista, “Io sono riuscito a ripartire grazie a Claudio Rocchi e ho pensato, per mesi e mesi, a chi poteva condividere questo progetto, avendo lo stesso approccio alla musica e alla vita, lo stesso tipo di sensibilità. E dopo sette / otto mesi ho chiesto ad Antonio Aiazzi se gli andava, visto che anche lui aveva smesso da tre anni di suonare, e come me ogni tanto smetteva e riprendeva. Con Claudio Rocchi avevamo coinvolto Beppe Brotto, un musicista particolarissimo e musicalmente molto vicino al mio modo di sentire la musica. Con Andrea Chimenti, invece, ci eravamo persi di vista e l’ho voluto coinvolgere. Lo spettacolo non vuole ripercorrere solo 35 anni di carriera, ma celebrare tutti i contatti sia della mia vita che dello loro. E’ un bel viaggio perché si va dai Litfiba a Franco Battiato e Claudio Rocchi. C’è una lunga suite che dura 23 minuti, che è l’apertura del concerto. All’interno di quel pezzo di sono varie voci: Claudio Rocchi, Franco Battiato, Cristiano Godano, Cristina Donà, Piero Pelù, Miro Sassolini… gli amici di una vita. La scommessa era quella. Riuscire a far cantare quelle parole dal profondo”.

Nella band c’è anche Simone Filippi che Maroccolo ricorda di aver “conosciuto nella piccola reunion tra C.S.I., Disciplinatha e Üstmamò (Maciste contro tutti del 1993, nda). Simone era il chitarrista degli Üstmamò. Negli ultimi tempi ha fatto il produttore e suona la batteria. Così ci siamo imbarcati in questa storia. Poi abbiamo aggiunto Alessandra Celletti, che è una pianista classica. Siamo riusciti a bilanciarci bene e a rendere vivo quello che facciamo. Dopo una quindicina di concerti, che abbiamo fatto volutamente low profile, ci siamo resi conto che questo non è un punto di arrivo, ma potrebbe essere un punto di partenza. Lo stiamo vivendo giorno dopo giorno. Una buona parte di pubblico rimane spiazzato nei primi 30 minuti del concerto, ma poi riesce a salirci sopra. Il concerto è volutamente difficile. La cosa che ci accomuna ulteriormente da tempi non sospetti – ovvero da quando io e Antonio non avevamo fatto ancora “Desaparecido” e Andrea non aveva fatto il suo secondo disco, mentre Beppe faceva ancora heavy metal – è che già all’epoca eravamo piuttosto curiosi. Avevamo voglia di aprirci e non era facile sia per il periodo che per le formazioni in cui suonavamo”.

Lo spettacolo, che ha debuttato lo scorso febbraio al Teatro Studio di Scandicci (luogo cui Maroccolo è molto affezionato), vanta l’ambientazione e la regia a cura di Giancarlo Cauteruccio (regista della nota “Eneide di Krypton”). “La cosa primaria per me è avere qualcosa da dire e comunicare ed entrare in condivisione”, ha concluso Gianni Maroccolo, “Qesta volta la scommessa è più grossa. Senza esagerare, si cerca di comunicare a vari livelli. Quando c’è la parte C.S.I. e Litfiba è gioco facile. Poi quando ci sono le altre cose si entra in profondità, si inizia a condividere della musica in modo diverso, senza una scaletta obbligata, senza luci e paillette. Una sera il concerto può durare un’ora e mezza, un’altra sera due ore. A Milano arriva Faust’O e sale sul palco. Io avevo bisogno di questo”.