Sergio Cammariere: Il Brasile per me una bella esperienza di vita e di musica ..

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In un suo brano si definisce cantautore piccolino. Oggi Sergio Cammariere è il degno erede di una scuola importante come quella dei cantautori. Sabato 27 Ottobre ospite del Festival d’Autunno di Catanzaro, rassegna che quest’anno ha scelto di dedicarsi all’Alma Brasileira. Ed è proprio parlando della sua passione per quel genere che inizia la nostra conversazione con il musicista calabrese..

Non ha mai nascosto di amare la musica brasiliana che ha apprezzato grazie ad artisti come Carlos Lyra, Leny Andrade, Irio de Paula e Jim Porto. Quanto hanno influito sulla sua formazione di musicista?
All’inizio del 1980 suonavo in un locale in Sardegna a Baia Sardinia, e lì ho conosciuto Jim Porto. Prima ascoltavo e suonavo la musica brasiliana di Vinicius & Toquinho o di Chico Buarque ma grazie a Jim allargai i miei orizzonti musicali: mi fece una copia su musicassetta di un album strumentale, “Samambaia” di Cesar Camargo Mariano e Hélio Delmiro. E così pian piano sono entrato in mondi musicali fino ad allora sconosciuti, la musica di Egberto Gismonti e quella di Hermeto Pascoal. Quasi dieci anni dopo fui ingaggiato in un locale gestito da italiani che si trovava proprio in Rua Garota de Ipanema, a Rio de Janeiro. Mi fermai un mese e mezzo e nello stesso posto in cui suonavo io si esibiva Leny Andrade (che cantava in quel periodo le canzoni di Cartola), Carlos Lyra e altri gruppi che proponevano cover di Djavan, Ivan Lins e Milton Nascimento. Sul tardi spesso si creavano session musicali in location diverse: per esempio il People a Leblon, dove ho incontrato musicisti provenienti da tutte le parti del mondo, con la voglia di suonare insieme liberamente, proponendo standard jazz e soprattutto improvvisando.
Dalle sue parole si evince che quella è stata una esperienza indimenticabile.
Posso affermare che quel soggiorno in Brasile fu per me rigenerante, clima fantastico, persone simpatiche, una bella esperienza di vita e di musica. Sempre verso la fine degli anni ’80 frequentando un locale storico a Roma, in Trastevere, il Manuia, dove si esibivano artisti brasiliani, ho ascoltato Irio de Paula suonare “Estate” con le sostituzioni armoniche di Joao Gilberto. E così sono definitivamente entrato in un nuovo universo musicale, riscoprendo la bossanova di Tom Jobim e il samba canção di Dorival Caymmi, una grande scuola d’armonia e ritmo..
A proposito di grandi artisti brasiliani, ricordo che nel 2008 condivise il palco con una grande artista come Gal Costa. Una conferma della sua “alma brasileira”. Quali sono i suoi ricordi di quell’incontro?
All’epoca avevo con me la telecamera e riprendevo tutti i momenti più importanti: quello con Gal fu bellissimo e ne conservo un ricordo nitido. Arrivò la sera prima con il suo manager e c’incontrammo in una sala dell’albergo davanti a un pianoforte per provare la canzone. Avevo con me anche una tastierina portatile e tra una prova e l’altra al teatro Ariston, suonavamo e cantavamo in continuazione la musica di Jobim, le canzoni di Gal ma anche brani classici della musica napoletana, che lei adora.
Il suo primo amore, però, è stata la musica classica.
La musica classica mi ha spinto a studiare il pianoforte. Provavo a risuonare Beethoven e Bach, ma la mia formazione completa la devo ad Arthur Rubinstein, Benedetto Michelangeli e Glenn Gould.
Mi sembra di capire che il rock per lei era un pianeta lontano.
Al contrario. Nonostante io mi ritenga un beethoveniano convinto ascoltavo anche molti dei gruppi rock in voga negli anni settanta. Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath, ma anche Pink Floyd e Genesis. Di questi ultimi mi intrigava Firth of fifth, un brano che aveva un lunga introduzione di pianoforte che ben presto diventò uno dei miei cavalli di battaglia assieme a Honky tonky train blues di Keith Emerson e Let it be dei Beatles.
Da giovane incontrò Angelo Branduardi. Fu quello il momento in cui decise che sarebbe diventato un cantautore?
Leggevo in quel periodo i poeti esistenzialisti (Esenin, Majakovskij) e nel brano Confessioni di un malandrino di Angelo Branduardi trovai la giusta misura tra canzone e poesia, la canzone d’autore perfetta, sicuramente per me un archetipo.

Lei, nato a Crotone, quanto si sente uomo del Sud?
Ognuno di noi credo sia legato alla sua terra d’origine, nel mio caso questo legame si è consolidato negli anni, ma oggi mi sento cittadino del mondo, il sud e il nord sono dati geografici.
Rino Gaetano era suo cugino. Quanto le è pesato questo legame e che ricordi ha di lui?
Ho saputo della nostra parentela 15 anni dopo la sua scomparsa, ricordo le sue canzoni… il suo primo album d’esordio fu prodotto da Vincenzo Micocci, IT dischi, coincidenza lo stesso che dieci anni dopo ha pubblicato il mio primo album.
Nel panorama italiano attuale sono pochi i cantautori che riescono a farsi apprezzare. E’ il segno di un cambio generazionale o la mancanza di talenti?
Le nuove tecnologie rendono più immediate la costruzione e la divulgazione di forme espressive diverse dalla tipica canzone / strofa inciso, con la nascita di nuovi songwriter, ma a mio parere la canzone d’autore resiste perché fa parte della storia culturale del nostro paese.
I giovani musicisti puntano molto sull’aspetto social. Un tempo era importante vendere i dischi, oggi contano le visualizzazioni. Lei è molto presente sui social cosa ne pensa di questa nuova realtà?
Grazie ai social è più facile mantenere un rapporto continuo con i propri follower, un’interazione continua e immediata. Per un giovane artista è sicuramente un mezzo in più per farsi conoscere. Io ho cominciato per gioco a pubblicare dei brevi filmati, e poi è diventata una consuetudine, un appuntamento fisso con i miei amici del web.
Il Festival di Sanremo potrebbe essere considerato il suo punto di ripartenza. Le sue partecipazioni si distinsero per la qualità delle proposte ma soprattutto per l’enorme differenza con gli altri partecipanti per i suoi brani presentati. Quanto è cambiata la credibilità di quella manifestazione?
Sanremo è il grande appuntamento musicale dell’anno e ha raccontato la storia della canzone e del costume del nostro paese, un grande evento televisivo che riunisce il pubblico italiano.


“Dalla pace del mare lontano” è il verso iniziale della poesia “I figli del mare” di Carlo Michelstaedter. Qual è il suo rapporto con la poesia?
In fondo la “canzone” è una forma poetica musicale..
I testi di Roberto Kunstler sono sempre molto profondi. Come è avvenuto il vostro incontro “musicale”?
Casualmente. Durante il mio girovagare per l’Italia suonando in ogni dove a un certo punto mi fermai a Roma, formai la stress band per suonare dal vivo nei locali, soprattutto all’Horus club in piazza Sempione. I miei amici Gianmarco Tognazzi e Luca Lionello diventarono per un breve periodo i miei agenti. Il primo ingaggio lo trovò Jimbo (Gianmarco) e fu proprio il matrimonio della sorella di Roberto Kunstler all’hotel Majestic in via Veneto. Era il 1992, il primo brano scritto insieme dalla pace del mare lontano, il 6 giugno..
Nel suo ultimo disco “Piano” lei si confronta con generi musicali diversi. Da cosa nasce questa esigenza?
In ogni mio album da cantautore ho sempre inserito un brano strumentale. Dal mio primo lavoro per il cinema nel ‘91 a oggi avrò inciso una ventina di colonne sonore. E’ stata un’esigenza intima e personale produrre un album con 16 brani pianistici. La cosa bella accaduta dopo la sua pubblicazione è che molti registi di cinema l’abbiano apprezzato, inserendo le mie sequenze nelle loro opere.
La sua presenza al Festival d’Autunno di Catanzaro la porta ad esibirsi in Calabria. Cosa significa per lei esibirsi nella sua terra?
Un’altra occasione per riassaporare il profumo e i colori di casa..