Shamal Wind, il suono caldo di Chip Wickam

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Lo shamal è un vento caldo e secco che spira di frequente tra l’Arabia Saudita, l’Iraq, il Kuwait e i paesi dell’area del Golfo Persico. Caratterizzato da violente tempeste di sabbia è causa di continui cambiamenti nella zona desertica. Una immagine perfetta per Shamal wind che mette in evidenza la sua idea di musica mai ferma su sé stessa e una fervida vena compositiva che esalta le doti di musicista di Chip Wickam. Ognuno dei sei titoli di questo album mostra sfaccettature e sfumature diverse, mai in contrasto tra loro, un mix di influenze di generi che affondano le radici nel jazz. Viene fuori il lato virtuoso del flautista e dei musicisti da lui coinvolti in questo progetto. Aspetto ancora più apprezzabile se si pensa alla sua reazione alla malattia che lo ha costretto ad adattare il suo modo di suonare al sax baritono. Una forza di volontà enorme che prima lo ha portato al debutto con l’album La sombra e ora a questo lavoro che può essere considerato un piccolo gioiello nel suo genere.

Un sound groovalicious, contagioso per i suoi continui cambiamenti, dai tratti retrò che suona come un disco pubblicato negli anni ‘60/’70, non una diminutio che ne compromette la qualità bensì un pregio inatteso per chi non va necessariamente alla ricerca di nuovi modelli che porterebbero lontano dal concetto stesso pensato da Wickam per “Shamal wind”. L’onda meditativa, tipicamente mediorientale, del brano d’apertura che dà il titolo all’intero lavoro e di “The mirage”, con l’intervento dell’ospite Matthew Halsall alla tromba, in cui appare evidente l’influenza di un maestro come Yusef Lateef, contrastano con gli altri quattro brani up-tempo che, pur se differenti nella loro concezione, non creano un solco invalicabile.
Il soul jazz di “Snake eyes”, “Barrio 71”, “Rebel no. 23”, quest’ultimo con un pregevole intervento di Gabri Casanova al Wurlitzer, e l’hard bop di “Soho strut” si combinano perfettamente tra loro rendendo interessante l’ascolto anche ai neofiti. In questa combinazione di suoni il groove di “Shamal wind” diventa contagioso. Risultato ottenuto grazie ad una band che da anni lavora con Wickam. Importante il supporto di Ton Risco, al vibrafono, e Phil Wilkinson, al pianoforte, per i quali è inevitabile pensare alle “lezioni” ricevute dai numerosi ascolti degli album dei Maestri Roy Ayers e Les McCann. Accanto a loro la preziosa sezione ritmica formata da David Salvador, al contrabbasso, Antonio Alvarez Pax, alla batteria, e David El Indio, alle percussioni. Shamal wind (pur se con i suoi riferimenti al passato) può essere considerato un album con cui guardare al futuro.