Oingo Boingo, le origini di Danny Elfman

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Oingo Boingo è il nome della band di Danny Elfman prima di intraprendere la carriera di compositore per i film di Tim Burton (da “Pee-wee’s Big Adventure” con le le incalzanti marcette omaggio al nostro Nino Rota ).

Denny Elfman non ha curato solo le musiche di Tim Burton, ma anche due magnifici film di Sam Raimi: Spiderman 2 e soprattutto quella chicca di migliore cinecomic ante litteram che è Darkman (specie di fantasma dell’opera alle prese con i criminali di oggi!). Tornando a Tim Burton come non citare Nightmare Before Christams di Elfman, da noi arricchito della voce ultraterrena di Renato Zero. Poi Elfman tradisce Burton che chiama Howard Shore, per Ed Wood. Sonorità bizzarre e conturbanti per il compositore di Cronenberg e soprattutto di Peter Jackson ne “Il Signore degli anelli”, dove l’epicità e la fragilità dei minuti hobbit si amalgama in un crescendo di proporzioni apocalittiche. Burton un poeta dei nostri tempi, per la ricchezza visiva e simbolica dei suoi personaggi: Edward, Catwoman (di Michelle Pfeiffer) e Sally, ci ha donato dei momenti indimenticabili nella storia del cinema.

Tornando agli Oingo Boingo di Danny Elfman, si può affermare che appartengono al genere “New Wave”, anche se si fanno notare per l’impiego di percussioni esotiche, una sezione di tre fiati, scale ed armonie non convenzionali. Gli Oingo Boingo a loro volta derivano da un autore anni quaranta Spike Jonze, caratterizzato dall’utilizzo di componenti strumentali atipiche quali ad esempio posate, pentolame vario, clacson e pistole giocattolo a scoppio. Alla New Wave appartengono i nostri gloriosi Gaz Nevada nati nella Traumfabrik di Bologna, casa occupata di Bologna frequentata da artisti del calibro di Andrea Pazienza. Infine come non citare la scena di possessione musicale in Beetlejuice sotto forma delle note trascinati calypso di “Banana Boat Song (Day Oh)” di Harry Belafonte.

Concludendo Tim Burton, Leone d’oro alla carriera al Festival di Venezia, senza Elfman forse varrebbe la metà, perché è riuscito a tradurre l’alfabeto visivo di Burton in note sinuose e melanconiche che donano risvolti junghiani all’evolvere delle sequenze cinematografiche di Burton.

Jean Pierre Colella