Vade Aratro: siamo chitarre, bronzo, fango, rane e falene

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Intervistiamo i vade Aratro, una delle band più originali della scena rock e metal italiana, che ci parlano di “Agreste celetse” , un album ambizioso, pubblicato in un doppio vinile limitato.

Giunti al terzo album, in tre lustri di storia i bolognesi Vade Aratro, si confermano una grande realtà anomala della scena rock italiana. Il loro metal che racconta di storie agresti, di antiche tradizioni, di terra e ballate, di chitarre e duelli, di fango e virtù, in “Agreste celeste” si fa colto, con riferimenti che vanno dal prog al folk alla canzone d’autore, senza dimenticare l’energia del metal anni ’80, che li ha sempre contraddistinti. Ne abbiamo parlato con Marcello Magoni, chitarrista e cantante della band.

Ciao Marcello. Complimenti per il disco, è meraviglioso, l’ho ascoltato cento volte, l’ho trovato stupendo e originale.

Innanzitutto grazie: grazie per il tempo che hai dedicato alla nostra musica, la cosa più bella della tua recensione (oltre ai tanti complimenti!) è stata proprio notare l’attenzione del tuo ascolto, la capacità di cogliere il senso della proposta. Non è per nulla scontato.

Quando e come nasce il progetto Vade Aratro e come decidete di far diventare la terra contadina e le sue tradizioni, l’humus da cui attingere per l’ispirazione?

All’inizio del 2006, assieme a Fede (bassista) decidiamo di archiviare il precedente gruppo per dedicarci a un nuovo progetto, più snello (power trio rules!), più concettualmente a fuoco e, soprattutto, cantato in italiano. Avevamo delle cose da dire! I testi rispecchiavano il mio interesse per l’antropologia, la storia, il mito e il folklore, che studiavo da autodidatta in maniera un po’ goffa e decisamente poco accademica per sopperire alle lacune della mia educazione scolastica (Istituto d’Arte e Accademia di Belle Arti…), filtrati dall’esperienza diretta di un bimbo cresciuto in campagna. Considera poi che suonavamo in una baracca circondata dai campi, coi rami e le canne affacciati alle finestre, frequentata da topi,  rospi, formiche, ragni e falene: restituire quelle atmosfere è stato per noi molto naturale, quasi inevitabile.

L’interesse per la terra è sempre stato presente nella tua vita? Hai avuto sin da bambino la percezione di essere affascinato o è scattato qualcosa in età adulta?

Ho sempre vissuto in campagna e, nel mio piccolo mondo di provincia, tutto sfumava nei campi, anche il cortile dell’asilo! I miei giochi, le mie avventure e il mio orizzonte (ma anche il mio limite…) erano le distese coltivate attorno alla nostra grande casa, piuttosto isolata, da cui ho sempre guardato il mondo. I miei genitori non lavoravano la terra, ma le forme, gli odori e i rumori dei trattori e delle macchine agricole hanno contribuito potentemente alla formazione del mio immaginario infantile, così come tutti quei personaggi scolpiti dal sole e dal lavoro della terra, molti dei quali, più o meno alla lontana, nostri parenti.

La scelta di stampare solo in vinile e poi in digitale è perché pensi che il compact disc sia un prodotto morto?

Man mano che le canzoni per “Agreste Celeste” si accumulavano, abbiamo capito che si sarebbe trattato di un doppio album e, fin da subito, lo abbiamo immaginato e visualizzato come un disco “vero”, di quelli apribili, grandi e belli, come quelli degli Yes! Volevamo un formato importante, imponente, compromettente, che “costringesse” l’ascoltatore a immergersi nel nostro mondo, un lato alla volta. Ne siamo enormemente soddisfatti. Temo che il CD sia moribondo e un po’ mi dispiace, perché abbiamo passato tanti anni insieme. Avrà fatto qualche sgarro a qualche industria di caffè.

Tu racconti il passato, o meglio le tradizioni, ma ti esprimi in una forma nuova, per lo meno diversa. Non pensi che in giro siamo soffocati dalla nostalgia, che impedisce qualsiasi prospettiva di futuro? E questo non solo nell’arte?

Bellissima osservazione! Sì, sembriamo quasi programmati per finire nella trappola della nostalgia. Mi colpisce sempre come, alla mia generazione, stiano rivendendo tutta la propria infanzia: ora che siamo adulti possiamo  finalmente comprarci (o ricomprarci) tutti i giochi, i simboli, i feticci che abbiamo desiderato da piccoli; rivedere tutti cartoni, le serie TV (li chiamavamo “telefilm”, ricordate?), persino le pubblicità, che ci hanno resi quelli che siamo! È un fenomeno nuovo, tipico di una generazione fallita, bruciata nelle aspettative, che cerca ingenuamente rifugio in un mondo più semplice, verso un’età in cui non avevamo responsabilità. La sindrome da Mulino Bianco. Se la nostalgia è una piccola tana temporanea in cui rifugiarsi un poco, prima di affrontare il mondo, non ci vedo nulla di male, ma potrebbe anche diventare la gabbia dorata in cui ci chiudiamo da soli.

Quali sono le tue/vostre band di ispirazione e negli ultimi anni quali sono i gruppi, di qualsiasi genere, che ti hanno stupito? So che è una domanda banale, ma è ai lettori (e a me!!), sono cose che piacciono tantissimo!

Wow, non posso credere che mi venga fatta una domanda del genere! È come togliere il tappo a una diga. Come chiedere a un rapper di parlarci un po’ di sé stesso, del suo rapporto con il cash, la bamba, le bitches, la mamma… Vorrei evitare elenchi sterminati, ovvietà ingenue, omissioni clamorose e dettagli noiosi, ma se proprio insisti… Più o meno cronologicamente e restando sui grossi nomi: Beatles, Kinks, Gentle Giant, Black Sabbath, Uriah Heep, Thin Lizzy, Judas Priest, Rainbow… No no, aspetta, rinuncio: non ne veniamo fuori! Diciamo che mi piacciono i power trio con la “R”: Raven, Rage, Rush… L’epic Metal americano, Warlord, Heir Apparent, Crimson Glory, Fates Warning, Omen, Manowar… il Thrash, il Death, gli Slayer, i Morbid Angel, i Carcass… E poi gli Skyclad, i Mercyful Fate, la NWOBHM! Troppa, troppa roba. Aspetta, aspetta, lasciamo da parte le centinaia di gruppi della “formazione” e proviamo con qualcosa degli ultimi vent’anni: Mastodon, High On Fire, Baroness, Slough Feg, Hammers Of Misfortune, Burst, Brutus… No, diventano troppi pure questi, proviamo con “gli insospettabili”: sono un grande fan di Marc Bolan, adoro le melodie bonsai dei Magnetic Fields e l’artista che più mi ha colpito negli ultimi quindici/vent’anni è Joanna Newsom. Oh, no, poi c’è ancora tutta la musica italiana! I cantautori, i gruppi, gli amici… No scusami, è una domanda troppo ghiotta e letale, mi arrendo.

Ritengo che i due musicisti che ti accompagnano, siano fondamentali. Vuoi presentaceli?

Certo che lo sono! Federico suona il basso, Riccardo la batteria, uno ha cinque anni più di me, l’altro ne ha cinque di meno, uno è molto pragmatico e concreto, l’altro ricerca verità esoteriche, uno vive in centro a Bologna, l’altro quasi in campagna, uno canta le armonie, l’altro solo in growl. Federico è la sicurezza, la potenza, la melodia precisa, quello che dal vivo va a tempo. Riccardo è l’estro, l’imprevisto, l’estremo, la sorpresa. Sono legatissimo ad entrambi, e senza di loro i Vade Aratro non avrebbero il suono che amo.

So che sei un artista del rame, puoi parlarci a ruota libera della tua professione?

A pensarci bene non credo di aver mai realizzato nulla in rame, ma ho lavorato il bronzo (che contiene rame…) per molti anni in una fonderia artistica! Però sì, ho il laboratorio di fronte alla sala prove e di mestiere faccio lo scultore. Ma lasciando un attimo i metalli da parte, se posso scegliere, il mio materiale preferito rimane la terracotta. Sia filosoficamente che praticamente è quello che mi mette più a mio agio. La polvere, l’acqua, il fango, la terra, l’essiccazione, la cottura, la patina… Tante implicazioni. Un lavoro che ti costringe a pensare, a progettare e a meditare sul tempo. E sul senso. Un vero privilegio. Le sculture fotografate per le copertine dei nostri dischi sono tutte in terracotta e, come avrete capito, mi piacciono i rospi.

Mi hanno suggerito di chiederti se è vero che questo potrebbe essere l’ultimo disco dei Vade Aratro, e perché?

Credo che ti abbiano voluto fare uno scherzo! O che fosse un escamotage per parlare dei nostri progetti futuri… Certo, un doppio album sarebbe un nobile epitaffio, ma sentiamo di avere ancora parecchie storie da raccontare! Ad esempio sul prossimo disco, in avanzata fase di stesura,  proveremo qualcosa a cavallo tra il concept album, la narrativa fantabiografica e l’esperienza alchemica, con un racconto simbolico/campestre articolato in dieci canzoni. Poi ho un quaderno rilegato gonfio di appunti e titoli per almeno altri due album, quindi mi sa che non vi libererete di noi tanto facilmente. Grazie ancora a te e a chiunque vorrà regalarci un poco del suo tempo: è la cosa più preziosa e più gradita.

Cercateli, ascoltateli, rubate i loro dischi, ma dovete conoscerli, i Vade Aratro sono energia e creatività. E in un mercato musicale che spesso tende ad autoclonarsi “Agreste Celeste” è il disco che ci restituisce speranza!!

Vade Aratro:

Marcello Magoni: chitarra, tastiere, voce // Federico Negrini: basso, voce // Riccardo Balboni: batteria, voce