TOdays 2022 (day 3): l’annuncio di un’epica gloriosa

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Un cielo in bilico tra il tramonto del sole e l’indaco della sera attende Arab Strap, prima band ospite a Torino della terza e ultima serata del TOdays Festival 2022. E proprio in questa terra di confine si muove la poetica del duo scozzese… A”s Days Get Dark”, appunto, titolo dell’ultima uscita discografica (dopo un intervallo di ben 16 anni) ed ennesima conferma di una linea artistica immune a qualsiasi ondata modaiola.

DIIV

Il quasi cinquantenne Aidan Moffat è tagliente e disilluso, divertente e pigro e ci trascina nella sua spirale di sarcasmo e dolcezza con liriche che fotografano la fatica di stare al mondo mentre si passa da una dipendenza all’altra. I ritratti che ci offre sono di un’umanità vulnerabile e tragicomica in cui si ravvede il segno dominante di questo tempo. Momenti intimisti e languidi si alternano a frangenti serrati definiti dalle puntuali linee chitarristiche di Malcolm Middleton; le abituali incursioni elettroniche amplificano il pathos dinanzi ad un pubblico attento e coinvolto.

DIIV

L’eterno ondeggiare tra dannazione e salvezza è il fulcro dell’act dei DIIV. Zach Cole Smith, le cui gesta investono tutta la creazione del progetto, occupa la destra del palco con il volto scavato e le cicatrici di un viaggio fisico e mentale che dalla scena indipendente di Brooklyn lo ha portato al centro dell’inferno. Consumato dalle sostanze e risorto attraverso un complicato processo di guarigione che fa capolino, tra gli altri pezzi, da “Horsehead” (I wanna breathe in and never breathe back out). Si passa dalle linee più geometriche di chitarra dei tempi di Oshin (di cui ricorre il decennale) alla deflagrazione shoegaze degli estratti da “Deceiver” che rimbombano nell’anima e danno senso a ogni cosa. Andrew Bailey alla chitarra, perso in vestiti oversize, segna il tempo con fare nervoso che investe volto e mandibola. Una tensione che non viene mai meno per un’esecuzione magistrale.

Yard Act

Ritrovato il proprio senso nel mondo è sacrosanto guardare in faccia il presente e quanto ci gira intorno e allora si sale sulla giostra di Yard Act, ennesimo dono del nord Inghilterra condotto con irriverenza e acume da James Smith che condivide cognome, piglio abrasivo e favella con l’icona Mark E. Pare riduttivo ricondurre tutto alla trita definizione di post punk, ma i suoni si collocano in quell’area con una linea ritmica che rimanda ai classici temi di quegli anni e la narrazione esaustiva sputata in faccia senza pietà. Il suono schizofrenico di una nazione che uscita da Brexit ed eterno malgoverno fa i conti con il vuoto delle tasche e dello spirito, la propria avidità (Rich) senza trovare risposte o meglio “the overload of discontent, the constant burden of making sense”, come ricorda la title track.

Primal Scream

Forse la soluzione sta altrove. Dallo Yorkshire si sale verso la Scozia, si torna indietro di decenni, si piomba a Glasgow, 1991. In quella città priva di appeal turistico e ancora sottovalutata dai più soffiava l’aria corrotta che partorì quel miracolo di contemporaneità che fu/è “Screamadelica” e che si celebra, a oltre 30 anni dall’uscita. Bobby Gillespie è in tenuta a tema, ha visto e provato tutto e qui risuona il beat di certi eccessi, il mix di stili, il groove funk che si fonde in elettronica, le radici nere filtrate dalla pioggia acida degli “April Skies”, gli Stones. La scaletta dei Primal Scream lascia fin troppo poco spazio ad uno dei dischi più influenti dell’ultimo trentennio e passa da classici quali “SwastiKa Eyes”, “Rocks”, “Jailbird” e un tributo a Mark Lanegan. Di nuovo lampi da lontano, si avvicina un nuovo temporale, ma è vicina l’alba di un nuovo giorno, “my light shines on” risuona da Movin’ on up. Uniti, pacifici, si danza sotto la pioggia qualcuno è in sé, qualcuno meno, ma “we wanna be free to do what we wanna do, and we wanna get Loaded”.
(a cura di Francesca Trinca)