Infernum Metallum, la storia della fiamma nera in Italia

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Devo fare i complimenti a Mariano Fontaine e Cristiano Mastrangeli per l’incredibile lavoro di sintesi svolto al fine di redigere un libro che è davvero la storia ufficiale del Black Metal nel nostro paese. Un libro non soltanto di memoria, ma di riflessione su uno stile musicale – il Black Metal per l’appunto – in grado di regalare all’Italia parecchie soddisfazioni a livello internazionale. “Infernum Metallum” vi condurrà nei meandri della storia del Black Metal come Virgilio accompagnò Dante nel suo viaggio all’inferno. Un saggio approfondito e documentato come pochi. Il resto ce lo dirà Mariano nel corso di una intervista che per me costituisce una questione di cuore. Quando vi è venuta l’idea di scrivere un libro sulla scena estrema italiana? “Piccola correzione: non si tratta della scena estrema italiana bensì di una frangia ben delineata come quella relativa al black metal. L’idea nacque alla fine dell’ottobre del 2020. Volevamo scrivere qualche cosa che riguardasse la musica da noi amata. Ci abbiamo pensato un po’ su e ci siamo resi conto che la storia del black metal italiano, di enorme rilevanza storica, non era ancora stata raccontata da nessuno. Inizialmente il titolo doveva essere “La Fiamma Nera, storie e leggende del black metal in Italia” ma desistemmo perché dava potenzialmente una dimensione troppo politica al saggio. Dovevamo però centrare anche un altro obiettivo, cioè quello di non fare una ricerca enciclopedica e didascalica. I saggi fatti così ci annoiano e non trasmettono nulla al lettore. Magari andavano bene 10/15 anni fa ma oggi la struttura narrativa deve essere più complessa. Soprattutto volevamo riuscire a trasmettere emozioni, un po’ quello che deve, o dovrebbe, fare la musica. Volevamo quindi riuscire in qualche cosa di diverso, un lavoro quanto più vario possibile anche se sempre all’interno del contesto relativo al black metal italiano. Tra l’altro, avevamo tonnellate di materiale su cui lavorare. Via giù, ci siamo buttati a capofitto in quest’altra avventura: sei mesi di duro lavoro ed abbiamo presentato il manoscritto, tra le varie altre, anche alla storica Tsunami Edizioni. Max, uno dei due boss della casa editrice, ci ha contattato dopo solo venti minuti dall’invio della mail dicendoci: “Siamo interessati!” Quali problemi avete dovuto risolvere per reperire il materiale che sarebbe stato poi pubblicato? “In linea di massima pochi. Calcola che noi autori veniamo entrambi da quel magico periodo per cui molto materiale fa parte delle nostre collezioni private. Molte foto che arredano il saggio sono tratte dalle nostre copie originali. Per quanto riguarda poi la parte scritta, personalmente sono un cultore delle fanzine, ne ho anche fondate e redatte tre nel corso di un decennio. E ne conservo centinaia. Proprio da tutte quelle sono riuscito ad estrapolare interviste storiche e immortali a tantissime band che hanno reso immenso questo genere musicale. Per il resto esiste il web, una fonte inesauribile di notizie.”  Non credo che “Infernum Metalum” sia un semplice libro di musica… ma un viaggio in un mondo che ha riguardato un po’ tutti noi. “Assolutamente sì. Abbiamo avuto la fortuna di vivere quegli anni. Ricordo ad esempio con piacere le tue recensioni e interviste per Grind Zone e Metal Hammer. Ognuno di noi aveva un ruolo, facevamo parte di una grande famiglia. Che a volte si amava e a volte si odiava.” Com’è nato il titolo “Infernum Metalum”? “Il titolo definitivo lo ha trovato Cristiano. Ha collegato la struttura del libro al latino. Secondo noi rappresenta perfettamente lo spirito black metal.” Il libro è diviso in nove cerchi, come mai? “Proprio nel periodo in cui raccoglievamo idee sulla struttura da dare al saggio, mia figlia stava studiando l’Inferno dantesco e rimase incredibilmente affascinata dal personaggio di Dante Alighieri. Sfogliando un tomo di mio padre degli anni Quaranta sull’Inferno dantesco, mi venne l’idea di suddividere gli anni lungo i nove cerchi concentrici dell’universo dantesco. Sottoposi questa mia idea a Cristiano che me l’avallò subito.” Non credi che la nostra scena estrema era la più varia a livello continentale? “L’Italia ha avuto, a partire dalla fine degli anni Ottanta, una marea di band valide. In ogni settore del metal, non solo a livello estremo. Basta citare i Labyrinth, i Rhapsody nel circuito Power, così come i vari Bulldozer, Necrodeath, Schizo, in ambito estremo. Oppure i Lacuna Coil che son riusciti a sfondare anche negli States. Quel che ha sempre rovinato il nostro paese è l’esterofilia, quel complesso d’inferiorità mentale misto a superbia e gelosia che da sempre ha distrutto quanto di buono creato da tante band.” Cosa ti ha colpito di più mentre il lavoro di redazione del libro avanzava? “Eravamo emozionati come due adolescenti. Rivivevamo un periodo a dir poco strepitoso per tutto il movimento metal estremo a livello mondiale. Era tutto un fermento, tantissime band, un grande seguito per tutto ciò che accadeva nel circuito underground. Riviverlo e ri assemblarlo è stato per certi versi terapeutico. E poi è giusto raccontare anche alle nuove leve quel che è stato.” Rispetto agli anni pioneristici qual è il tuo giudizio sulla scena estrema italiani dei giorni nostri? “Non la seguo da anni. Non è possibile seguirla perché estremamente frammentata. Ogni band che incide un promozionale, lo mette sul web, si regala un tot di like sui social e si sente arrivata e realizzata. Non è underground questo. Vivere la musica significa sbattersi dal vivo, significa collaborare con le altre band, proporre la propria musica al di fuori dello stupido “mi piace” di facebook: scambi data, centinaia di chilometri da percorrere per un live di 30 minuti, vomitare bile e vino in un autogrill, supportare la scena vedendo le altre band. Tutto ciò esiste oggi solo in maniera molto relativa e fine a se stessa (quella appunto di avere più like degli altri). Ma tutto questo, già lo abbiamo raccontato su un altro nostro libro, “Non siamo rockstar, storia di una heavy metal band” uscito nel lontano 2013, che racconta, per l’appunto, cosa significa vivere veramente l’heavy metal se non sei una rockstar. Vissuto tutto sulla pelle, tra l’altro.” Ti ricordi che allora tutto si reggeva sul tape-trading, i flyers, i pochi locali, le fanzine… un mondo che sembra scomparso… “Leva il “sembra”. È scomparso, non esiste più. Diciamo che, come dicevo pocanzi, il like su facebook, è quello che vogliono oggi i ragazzi. Manca l’aspetto di funzione sociale, visto che lo fai solo per te e per nessun altro. Nonché quello romantico, relativo ad un’epoca che non tornerà mai più.” Quale il ruolo della nostalgia nella scrittura del libro? “Se non ti fai prendere dallo sconforto rapportandolo ai giorni nostri, il suo ruolo è interessante. È un aspetto personale che riguarda sognatori ed idealisti. Un mondo che non esiste più ma proprio per questo fascinoso e suggestivo. Ecco, vista in quest’ottica, la nostalgia ha il suo rilevante ruolo sociale. Serve a non dimenticare e a continuare il tragitto del suo ruolo utopista.” Credo che “Infernum Metallum” sia un’operazione memorabile poiché impedisce che la coltre del tempo possa cancellare il ricordo di quei tempi eroici… “Concordo e ti ringrazio per i profondi complimenti. Come ho scritto qualche riga fa, a mio avviso il saggio ha anche un aspetto civico considerevole: quello di narrare fatti, personaggi e luoghi che appartengono ad un altro costume storico, in relazione all’aspetto musicale estremo. Che non sarebbe stato giusto dimenticare.” Cosa ha lasciato in te questo lavoro che non è stato solo un lavoro di mera memorialistica?“Le lusinghiere parole giunte da quasi tutti gli artisti inseriti sul libro, ci inorgoglisce non poco. Dentro ci rimane la consapevolezza di aver lavorato tanto ma di averlo fatto anche bene. E questo ci spinge a continuare a scrivere ancora saggi che possano interessare. Cosa che stiamo facendo e su cui, per ovvi motivi di strategia editoriale, è giusto non parlare fino a quando non arrivi il momento giusto per farlo.”

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