Una maledizione chiamata Maneskin

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Tutti ad incensare il successo stratosferico dei Maneskin come un traguardo raggiunto dal “made in Italy” in campo Rock. Niente di più falso. I Maneskin sono un prodotto di questo strafottuto globalismo musicale che elimina le caratterizzazioni nazionali creando un prodotto musicale uguale a tutte le latitudini. Vorrei capire in cosa si capisce che i Maneskin sono italiani? In nulla. La band romana potrebbe essere vietnamita, australiana, argentina, slovacca o altro ancora e non si noterebbe la differenza. Quindi, per favore non parlateci di conquista storica della musica italiana nel mondo. Io preferirei portare ad esempio la storica (questa sì – nda) PFM piuttosto che questi improbabili Maneskin. E ci sono altre considerazioni da fare. In Italia si è così abbagliati dal successo “interplanetare” (sic!) dei quattro ragazzotti che ci si è dimenticati di prendere in considerazione la vera scena Rock nostrana. Nel senso che non abbiamo fatto nulla per tutelare il Rock italiano e dargli i mezzi per avere una vita autonoma e dignitosa. Con il risultato che il Rock in Italia continua ad essere un oggetto volante non identificabile. Un qualcosa da lasciare in una riserva “tipo indiana” a macerare e restare isolato rispetto all’insieme della scena musicale italiana e dell’entertainment nostrano. Infatti, le band italiani continuano ad avere enormi difficoltà per trovare date, non ci sono strutture degne dove suonare, le case discografiche sono generalmente di piccole dimensioni e faticano a far emergere i loro artisti, continua la squallida pratica del “pay to play”, il costo del merchandising in Italia è mediamente il 20%/30% in più rispetto a paesi Rock più evoluti. La lista potrebbe andare avanti all’infinito. In sintesi: i Maneskin sono un prodotto musicale alieno e la scena Rock italiana continua ad essere condannata a rimanere underground underground per tutta la vita. Maneskin? No grazie. Preferisco Gigi D’Alessio