Fara Tales: il racconto in musica di Federico Bosio

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Pubblicato da Emme record label, “Fara Tales” è l’ultimo disco del chitarrista Federico Bosio dove spiccano un innato senso melodico e la capacità di spaziare tra il jazz, musica classica e sonorità più vicine anche al pop. La band è completata da Giuseppe Sacchi al pianoforte e piano elettrico, Giacomo Nardelli al basso elettrico e Daniel Besthorn alla batteria. Ecco il racconto che arriva direttamente dal leader di questo progetto.

Per cominciare raccontaci come è nato il progetto Fara Tales?
Il progetto “Fara Tales” è nato nel 2022 grazie alla partecipazione al premio Fara Music Jazz Live organizzato dal Fara Music Festival. Abbiamo vinto il premio e questo ci ha permesso di registrare presso il Tube recording studio di Enrico Moccia e Francesco Lupi. Il quartetto in realtà esisteva prima del disco dunque la registrazione non ha fatto altro che consolidare l’affiatamento già presente all’interno del gruppo.
Un disco composto da brani originali e da standard: ce lo vuoi descrivere?
Questo disco è il naturale sbocco di un lavoro iniziato e sviluppato durante prove e concerti con Giuseppe Sacchi (pianoforte), Giacomo Nardelli (basso elettrico) e Daniel Besthorn (batteria). Quando suono con questa formazione il repertorio è composto prevalentemente da brani originali con l’aggiunta di qualche standard per equilibrare e anche variare le atmosfere musicali che vengono a crearsi. Il disco dunque ha voluto rappresentare in maniera fedele quello che proponiamo durante i live.
Quale è stato il tuo approccio con gli standard e in che modo ha deciso di rivisitarli?
I
l mio approccio è consistito nel rivisitarli cercando di mantenere una certa coerenza stilistica con gli altri brani dell’album. Accostare standard della tradizione jazzistica a mie composizioni rischiava di risultare poco omogeneo in termini di stile ma anche di suono complessivo dell’album. Per evitare ciò ho strutturato ed arrangiato gli standard come fossero mie composizioni cercando di presentarli in una veste più moderna anche tramite l’utilizzo di effetti non propriamente jazzistici (distorsione, freeze, loop). Il brano di T. Monk I mean you è un esempio di ciò, ma anche Long train running dei Doobie Brothers che del brano originale mantiene soltanto il tema (suonato soltanto alla fine dopo l’improvvisazione sulla struttura). Questo brano di fatto è un blues quindi la scelta di rivisitarlo in questo modo è stata naturale, con un approccio più rock in termini timbrici.
Quali sono invece i tuoi principali riferimenti musicali?
I miei riferimenti musicali sono molti e molto diversi tra loro. Una sera dopo aver assistito ad un concerto a Roma degli Aires Tango con il chitarrista americano Ralph Towner come special guest mi congratulai con lui e gli confidai che le mie tre influenze musicali sono i Beatles, Pat Metheny e gli Oregon, cosa che naturalmente gli fece molto piacere essendo il fondatore e il leader degli Oregon dal 1970. Ovviamente oltre a ciò aggiungerei la musica che sto approfondendo ultimamente che è il jazz, ma anche la musica rock come Led Zeppelin, AC/DC, Pink Floyd, la musica più acustica e intima di James Taylor, Paul Simon e 2 Tommy Emmanuel, la musica classica, in particolare Debussy, Ravel e Rachmaninov, i cantautori italiani come Claudio Baglioni, Pino Daniele e Lucio Battisti. Ho anche un debole per gli anni ‘70 dei Tower of Power, Earth Wind & Fire e Weather Report. E tanti altri.
Quali sono state invece le tue principali fonti di ispirazione di questo tuo ultimo lavoro?
Per mostrare le mie fonti di ispirazione posso fare una breve descrizione dei tre brani originali. Il brano di apertura Prelude è ispirato direttamente dal Preludio in Do maggiore dal Clavicembalo ben temperato di Bach. First day, il secondo pezzo, è ispirato alla musica di Pat Metheny, in particolare al disco “Metheny/Mehldau” ed è caratterizzato da una melodia semplice su un’armonia in continuo movimento. Someone è una dolce e struggente ballata pop ispirata a certe armonie e mondi sonori di James Taylor, Tommy Emmanuel e Pat Metheny.

Fara Tales è il tuo ultimo disco. Rispetto ai precedenti cosa è cambiato nel tuo modo di fare musica?
Non so se sono in grado di rispondere a questa domanda. In termini di ‘fare musica’ l’approccio è sempre lo stesso: cerco di tenere quello che merita e scartare tutto quello che non mi convince. Probabilmente quello che è cambiato sono io, rispetto ai due album precedenti oggi penso di sapere meglio chi sono e chi non sono come musicista.
Per quanto riguarda il futuro invece stai già pensando a qualcosa di nuovo?
Sì, in pentola stanno bollendo diverse cose. In primo luogo ho in programma di realizzare un album in duo con il chitarrista romano Edoardo Liberati che conosco dal 2015. Sui social abbiamo già pubblicato diversi video che sono stati molto apprezzati per cui vogliamo testimoniare questo progetto anche con un lavoro discografico. Dopo questo voglio realizzare un album che al momento è ancora molto nebuloso in quanto ho scritto soltanto delle bozze di brani ma quel che è sicuro è che sarà decisamente ambizioso in termini di arrangiamento e coinvolgimento di musicisti: mi piacerebbe diventasse una sorta di testamento spirituale della mia discografia, un album che mi spinga al di sopra delle mie possibilità di strumentista e soprattutto di compositore.