David Marte: vi spiego le Parole dei Baustelle

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Da un po’ di anni a questa parte i Baustelle hanno ispirato una buona bibliografia. Oltre alla biografia scritta da Federico Guglielmi, in questi ultimi anni sono uscite diverse pubblicazioni che si sono incentrate sulla band toscana. Molto interessante è “Parole di Baustelle”, libro realizzato da David Marte, che analizza i testi del gruppo e nello specifico si concentra su soli tre album. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Come è nata l’idea di scrivere il libro “Parole di Baustelle” e cosa ti ha motivato ad analizzare specificamente diciotto brani tratti dagli album “La Malavita”, “Amen” e “I Mistici dell’Occidente”?
Avevo conosciuto e subito amato i Baustelle nel 2005, all’epoca della “Malavita”, e la mia passione per loro si è consolidata nel quinquennio successivo appunto con “Amen” e “I Mistici dell’Occidente”. Sentivo che dietro le parole delle loro canzoni si nascondeva un mondo fatto di citazioni, riferimenti ed allusioni. All’inizio mi sembrava quasi un gioco cercare di scoprirlo, poi mi è venuta l’idea di trascriverlo e di rivelarlo in un libro: il libro dei segreti dei Baustelle! In realtà Bianconi ha spesso esplicitato i suoi riferimenti e modelli, addirittura alcune citazioni. Ma un autore si diverte anche a dissimulare, sviare, celare: ci voleva quindi qualcuno che riportasse ordine tra il detto e il non detto, e io mi sono avventurato a farlo. E’ stato un lavoro lungo ed impegnativo, e mi sono fermato esattamente a metà di ognuno di questi tre album, 18 canzoni in tutto, con l’idea di pubblicarne l’altra metà in un secondo volume, “Parole di Baustelle volume 2”.
Qual è stato il tuo approccio nel selezionare gli album da analizzare e come hai strutturato la tua analisi all’interno del libro?
Questi tre album sono unificati dalla volontà di rappresentare la crisi dell’uomo contemporaneo e il declino della società occidentale, sia nella sfera individuale e privata (“La Malavita”), sia nell’ambito sociale (“Amen”), cercando al contempo di trovare una via di fuga dalle bassezze del vivere (“I Mistici dell’Occidente”). Pensando a Pasolini e ai suoi ultimi tre film ho quindi ridefinito questo trittico come “Trilogia della vita”, anche se quella dei Baustelle non vuole in realtà essere una rappresentazione di vigore e vitalità quanto piuttosto una rappresentazione di esaurimento e morte.
Ogni canzone è analizzata nel rispettivo capitolo in un certo numero di sezioni, che di volta in volta affrontano aspetti testuali, letterari, musicali, cinematografici o artistici. Si scorre quindi da De André e Battiato ai chansonnier francesi ai Beatles e Ramones, da Dante Pascoli e Montale a Pasolini Eliot e Houellebecq, dal cinema di Carpenter e Deodato ai film di Coppola Pietrangeli e Kubrick, fino all’arte di Bosch e Cattelan, in un intreccio labirintico di rimandi e richiami.

I Baustelle sono un gruppo con una carriera ricca di sfumature e stili musicali diversi. Come hai affrontato la sfida di interpretare e analizzare la complessità delle loro canzoni?
Nel mio lavoro ho volutamente tralasciato gli aspetti musicali delle canzoni e mi sono concentrato esclusivamente sugli aspetti testuali e letterari della scrittura. In una prima fase ho raccolto tutte le interviste rilasciate dal gruppo, le ho ordinate in relazione alle singole canzoni, e da lì ho avviato l’attività di indagine, disvelamento e analisi, cercando di rimanere il più obiettivo possibile. E’ stato quindi lo stesso autore dei testi Francesco Bianconi a indirizzarmi nel percorso, esplicitando fonti e ispirazioni: nella sezione comune “Lui disse” ho riportato le sue parole a supporto del mio commento. “Parole di Baustelle” nasce da una motivazione appassionata e sentimentale ma si esprime e realizza attraverso un metodo che direi oggettivo e scientifico.
Nel corso della tua ricerca e analisi, hai fatto delle scoperte sorprendenti o hai ottenuto nuove prospettive sulla musica dei Baustelle che non avevi considerato prima?
Certo, molte volte. La canzone “Le rane”? Viene subito in mente Aristofane. E invece no: il riferimento è Pascoli. La canzone “Baudelaire”? Beh, pare ovvio che sia Baudelaire stesso. E invece il punto di partenza è Gainsbourg! “Colombo” ci conduce invece dall’omonimo ispettore televisivo al giornalista Furio Colombo, ma attraverso Pasolini e Gadda. “Gli Spietati” sembra un compendio di filosofia prearistotelica, con echi di Battiato, “Follonica” ha la stessa forza rappresentativa di un film di Antonioni, “L” parte da Bowie e approda a Kubrick, evocando Dante. L’analisi dei testi dei Baustelle diventa occasione per ripercorrere tratti fondamentali della cultura della nostra epoca.
Come descriveresti l’importanza e l’influenza dei Baustelle nella scena musicale italiana, e come pensi che la loro musica abbia evoluto nel corso degli album da te analizzati?
Dalla fine degli anni Novanta ad oggi i Baustelle hanno accumulato una carriera di 25 anni ed hanno saputo ininterrottamente evolversi, esprimendo album dopo album tematiche e musicalità sempre diverse ed originali, pur conservando una qualità e una dignità altissime nella loro identità di ‘Baustelle’: il loro è davvero un ‘cantiere’ sempre aperto!* (*ted. “baustelle” = it. “cantiere, lavori in corso”). È una capacità che appartiene solo ai grandi artisti: morire e reinventarsi di continuo. Dalle turbe adolescenziali del “Sussidiario”, all’esuberanza narcisistica e decadente de “La moda del lento”, dalla “Malavita” dell’uomo contemporaneo e dalla crisi dell’Occidente di “Amen” al loro superamento spirituale nei “Mistici”, dalla riflessione sul tempo di “Fantasma” alla rinnovata centralità dell’amore nel dittico “L’amore e la violenza 1-2”, e infine alla riflessione sul mito come consunzione e morte nell’ultimissimo “Elvis”, quale altro gruppo italiano può vantare un percorso così vivido e multiforme nella continua ricerca di nuovi punti di osservazione ed espressione sulla contemporaneità? Con un curriculum tanto ricco di significato e significante più di una generazione di musicisti ed autori ha assunto i Baustelle come modelli e maestri. Non ultimi I Cani, con cui è appena uscita una inattesa quanto preziosa collaborazione.
La tua analisi dei testi si focalizza su aspetti specifici come il contesto sociale, politico o culturale? In che modo hai cercato di connettere le canzoni di Baustelle a questi elementi?
Le tematiche dei tre album da me considerati esprimono una critica esplicita al sistema socio-economico liberista occidentale, e un’aperta accusa all’insostenibilità umana ed ambientale del nostro vivere. L’economia del profitto e l’etica del denaro hanno tolto umanità all’uomo e stanno rendendo il pianeta un posto inospitale per la vita. Le parole dei Baustelle hanno una connotazione totalmente socio-politica: “Vede la Fine. In metropolitana. Nella puttana. Che le si siede a fianco. Nel tizio stanco. Nella sua borsa di Dior. Muore il Mercato. Per autoconsunzione. Non è peccato. E non è Marx & Engels. È l’estinzione. È un ragazzino in agonia.” (da “Il liberismo ha i giorni contati”). Il riscatto può avvenire solo attraverso la ricostruzione di una nuova tipologia di uomo, di società, di cultura: “Ci salveremo disprezzando la realtà. E questo mucchio di coglioni sparirà. E né denaro e né passione servirà. Gentili ascoltatori siamo nullità.” (da “I Mistici dell’Occidente”).

Durante il processo di scrittura del libro, hai avuto l’opportunità di interagire con i membri di Baustelle o ottenere il loro feedback sulla tua analisi?
Ho operato in piena autonomia, i Baustelle avevano già detto moltissimo: avendo raccolto la totalità delle loro dichiarazioni potevo già contare su un’ingente mole di materiale su cui lavorare. Questo è stato il grande spazio da cui sono partito. Ma un artista, un autore, non deve necessariamente rivelare tutti i modi e sensi del suo processo creativo e della sua opera. Un artista, un autore si diverte anche a nascondere o dissimulare, e deve comunque lasciar spazio a letture ed interpretazioni. Io sono entrato anche in quello spazio libero. Il destino mi ha portato infine ad incontrare Francesco Bianconi in occasione di un suo concerto in provincia dell’Aquila, dove ho avuto l’onore di conoscerlo e di consegnargli le prime due copie del libro.
Alla luce della tua esperienza nel mondo della critica musicale, quali sono le tue speranze e aspettative per il futuro della musica italiana, e come pensi che gruppi come i Baustelle contribuiscano a plasmarlo?
I Baustelle hanno già esercitato una grande influenza nella musica italiana, e continueranno a farlo restando tra i gruppi fondamentali in questa svolta di millennio. In realtà non ho aspettative nei confronti della scena nostrana: io sono qui ogni giorno pronto ad osservare, ad ascoltare, e a godere del piacere che la nuova musica può offrire. Sono cresciuto col punk, quando la polemica era: “Ma non sanno suonare!”. Gli stessi che un tempo rivendicavano il diritto ad impugnare una chitarra senza saper suonare ora polemizzano sull’uso dell’autotune: “Ma non sanno cantare!”. Tutto ciò mi fa sorridere. Non siamo più negli Ottanta o nei Novanta, siamo negli anni Venti del nuovo millennio: cambiamento climatico, crisi globale, decrescita infelice, tensioni internazionali e guerre: i ragazzi producono musica nella solitudine della loro cameretta con un PC e assorbono un mondo totalmente diverso, un mondo più cupo che abbiamo creato noi. Io amo certa musica trap: Thasup, Lazza, Madame, Kid Yugi, Baby Gang, allo stesso modo in cui amo altra musica indie: Ibisco, Danielle, Giorgio Poi, Colombre. Voglio essere nel presente, voglio conoscerlo ed amarlo. Voglio vivere il mio tempo.