Le scene in cui il fondatore dei Nomadi, Beppe Carletti, e Francesco Guccini si raccontano e parlano in dialetto modenese sono destinate a diventare un piccolo cult della televisione italiana. Questo e altri grandi momenti pieni di emozioni ha riservato il documentario “Nomade che non sono altro”, con cui la direzione Rai Documentari ha voluto celebrare i 60 anni di carriera della band più longeva d’Italia (seconda al mondo solo ai Rolling Stones).
Andata in onda su Rai 2 nella seconda serata di venerdì 5 gennaio 2024 (raggiungendo un ottimo ascolto, con circa 600 mila spettatori e circa il 5% di share), l’opera diretta dalla regista Fedora Sasso è riuscita a condensare in circa un’ora uno spaccato di storia musicale e culturale del paese. Alzi la mano non ha mai cantato almeno una volta nella vita una canzone dei Nomadi. E soprattutto a molti sarà capitato in qualche modo di assistere a un loro concerto. Certo, una storia così grande avrebbe meritato una docu serie a puntate (magari con una puntata per ogni decennio di attività), ma è stato doveroso rendere omaggio a una figura importante come quella di Augusto Daolio, artista poliedrico (non solo musicista, ma anche poeta e pittore), che può essere considerato un po’ come il John Lennon italiano. In tutto questo c’è la forza e la costanza di Beppe Carletti che in 60 anni (+ 1, visto che la band è entrata nel sessantunesimo anno di attività) non si è mai arreso neanche di fronte alle più grandi avversità. A supporto le testimonianze del chitarrista Cico Falzone e del batterista Daniele Campani (quest’ultimo uscito dal gruppo pochi giorni fa). Lo hanno riconosciuto artisti come Luciano Ligabue, Caterina Caselli e Cisco Bellotti, e il conduttore Pino Strabioli, intervistati nel corso del documentario. Commosso il ricordo dei figli di Beppe, Elena (attuale sindaco di Novellara) e Davide Carletti. All’ex deputato Renzo Lusetti, da sempre amico e fan dei Nomadi, il compito di inquadrare i Nomadi nel contesto sociopolitico italiano, così come il parroco di Novellara, Don Giordano Goccini ha tratteggiato la forte vicinanza al mondo cattolico. Ovviamente protagonista la colonna sonora, caratterizzata da brani immortali come “Dio è morto”, “Tutto a posto”, “Ma che film la vita”, ma anche chicche come “Hey Nomadi”, e immagini tratte dal mitico “Album Concerto” con Francesco Guccini del 1979.
Un ritratto originale che, anche grazie a un intenso lavoro di ricerca, attraverso filmati esclusivi, interviste e rarità, restituisce un ritratto nuovo dei Nomadi: non solo la band popolare, ma un gruppo da sempre sensibile all’impegno sociale e la figura di Augusto Daolio, un’interprete che non ha mai perso lo smalto e la qualità anche nei momenti più bui. “Nomade che non sono altro” è un’opera necessaria (al pari di quanto già fatto da Rai in quest’ultimo periodo con altri artisti, come l’opera dedicata a Giorgio Gaber): quando si ritrova qualcosa che salvaguardia la memoria e la trasferisce nel tempo è sempre moto bello, in questo caso si tratta veramente di un documento eccezionale, perché sono state inserite immagini di concerti che si pensavano perduti (come “Concerto per un amico” per “Aiutala”, iniziativa per aiutare i tossicodipendenti), oppure una rara registrazione radiofonica in cui Augusto Daolio racconta la storia del gruppo e che di fatto diventa voce narrante del documentario. La sapiente regia ha saputo organizzare il tutto dal punto di vista della qualità musicale con un suono molto potente e molto buono, costruendo un documentario che è una specie di viaggio nel tempo. Lo spettatore viene riportato ai primi anni ‘60, nel clima di quel tempo, nella musica e nel clima culturale del periodo. Beppe Carletti racconta la genesi di “Come potete giudicar”, mentre al paroliere Alberto Salerno il compito di spiegare la genesi di “Io Vagabondo”, canzone senza tempo e che ha avuto un forte momento di rilancio negli anni ’90 con Fiorello (significativa a tal proposito la sua testimonianza). L’opera si conclude con le immagini del concerto dello scorso giugno a Novellara, città natale di Augusto e dei Nomadi, e che è stata sede delle celebrazioni per i 60 anni di carriera. Raccontare la storia dei Nomadi è anche descrivere un pezzo importante del nostro passato prossimo, facendo arrivare anche ai giovani, che sono una parte importante del pubblico dei Nomadi di oggi, la loro immensa capacità espressiva, l’esigenza di vivere e fare propria ogni canzone, rendendole immortali. Leggendo i commenti in rete (peraltro tutti positivi ed entusiastici) subito dopo la messa in onda c’è stata, da parte di alcuni fans, qualche lamentela per l’assenza di determinati periodi o musicisti che hanno fatto parte la storia dei Nomadi. Ma anche negli elenchi telefonici non ci sono i numeri di tutti gli abbonati. “Nomade che non sono altro” può essere un punto di partenza per qualcosa di molto più grande, e bisogna dare merito alla Rai e a Rai Documentari di aver realizzato quest’opera. Per chi non l’ha vista è già disponibile su RaiPlay, dove tra l’altro è già entrata nella classifica dei 10 titoli più visti.