Valerio Sanzotta: Infinito Sereno Autunnale

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Tra i cantautori più rappresentativi della sua generazione, Valerio Sanzotta torna a esibirsi dal vivo a Roma. Il cantautore si esibirà sabato 9 marzo, alle ore 21, al Teatro Arciliuto di Roma (Piazza Montevecchio, 5 – per informazioni tel. 06 6879419 / 333 8568464 / info@arciliuto.it). Un’occasione per ascoltare un estratto della sua produzione, caratterizzata da ben tre album e uno nuovo di prossima uscita. Lo abbiamo incontrato.

Il tuo percorso artistico è molto variegato, con una formazione in filologia medievale e umanistica. Come influisce il tuo background accademico sulla tua musica e sulle tue liriche?
Certamente la consuetudine con gli strumenti della poesia e con l’uso della parola mi ha fornito una consapevolezza maggiore dell’importanza del testo per musica. Siamo abituati a pensare la poesia come pagina scritta e un eventuale aspetto performativo come mero fatto accessorio. Ma la poesia è stata per secoli legata al canto: il canzoniere del Petrarca, solo per fare un esempio, era accompagnato dalla musica e lo stesso Petrarca possedeva un liuto.
Il tuo ultimo album “Naked (oltre lo specchio)” era stato anticipato dal singolo “It’s Sunday in this mirror”, realizzato per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Qual è il ruolo che credi possa avere la musica nell’affrontare tematiche sociali importanti come questa?
Le tematiche sociali non sono, per la verità, l’argomento più ricorrente nelle mie canzoni, che si interrogano maggiormente sul rapporto con l’interiorità, il trascendente e il dialogo con le ombre. La canzone militante è davvero un’eccezione che nasce da un’urgenza espressiva e forse, proprio in quanto eccezione, è particolarmente significativa. Per questo mi fa piacere che a duettare con me, in questo brano, sia stata Diana Tejera, alla quale mi legano non solo questa collaborazione e una lunga amicizia, ma una condivisione di valori.

Hai collaborato con Giulio Casale per la toccante lettura di una tua poesia nell’album “Naked”. Come è nata questa collaborazione e quale significato ha per te questa particolare interpretazione della tua poesia?
A favorire questo legame è stata essenziale la mediazione di Marco Olivotto, storico collaboratore di Giulio e mio attuale produttore. In Giulio, che è anche scrittore e attore, vedo un artista davvero completo, eccellente in ogni sua espressione; ma in particolare mi colpisce la sua capacità di essere assolutamente poetico senza mortificare la musica, di essere poeta senza smettere di essere, allo stesso tempo, musicista e cantante. La tradizione dei cantautori italiani, con qualche eclatante eccezione, come per esempio Ivano Fossati, è caratterizzata da autori di grandi testi che si accompagnavano a una musica sempre bellissima, ma spesso in posizione subordinata alla parola.
Parliamo del tuo ultimo lavoro letterario, “Infinito sereno autunnale”, una raccolta poetica apparsa sulla rivista PioggiaObliqua. Qual è stata la tua fonte di ispirazione per queste poesie e come si legano al tuo percorso musicale?
Ho sempre scritto versi al di là della forma canzone e questa prima silloge è un tentativo di fissare un punto di avvio. Tra i riferimenti letterari si sentono molto Mario Luzi e Vittorio Sereni, due poeti che continuo a leggere e a compulsare. Oltre naturalmente a Montale, che però è un riferimento immenso e pericoloso, perché può indurre facilmente a una scrittura di maniera. Tra i contemporanei un posto privilegiato occupano Alessandro Fo e Fabio Pusterla, dei quali mi lusinga e mi inorgoglisce l’amicizia. Insomma, la poesia non si colloca per me su un piano diverso dalla canzone, ma è soltanto un’altra forma espressiva, peraltro molto vicina alla musica, come si diceva prima. Lavorando contemporaneamente su queste due tastiere cerco di ribadire con forza il valore letterario della canzone d’autore, che andrebbe collocata più nell’ambito della letteratura che in quello della musica di consumo, con la quale condivide i canali produttivi e comunicativi, ma non l’impianto teorico e la consapevolezza della tradizione.

Quali sono i tuoi riferimenti musicali? Quali sono i dischi che porteresti su un’isola deserta?
Non sono un ascoltatore bulimico, tutt’altro. Sento sempre gli stessi dischi e i miei riferimenti sono circoscritti, ma conosciuti in profondità. Qui vicino ho dei dischi di Leonard Cohen e Bob Dylan, Joni Mitchell, Lou Reed e David Sylvian. Ma non solo musica così “storica”. Adoro Cat Power, Lana del Rey è superba e ho da poco scoperto la cantautrice texana Lomelda, che mi piace molto. Ma vorrei ricordare anche i miei amici cantautori: Tommaso Armati, Ernesto Bassignano, Eleonora Cardellini, Giulio Casale, Daniele De Gregori, Moreno Delsignore, Fabrizio Emigli, Barbara Eramo, Lemuri il Visionario, Roberto Ribuoli, Lino Rufo, Bea Sanjust, Rossella Seno, Erminio Sinni, Federico Sirianni, Diana Tejera, Flavia Zanasi (sono in ordine alfabetico e spero di non averne dimenticati troppi). Li ascolto, li seguo, li vedo spesso e voglio loro un gran bene! E poi c’è tutto il versante della musica colta, su cui però non vorrei dilungarmi ora. Ma sull’isola deserta Mozart, Schubert, Schumann, Mahler e Richard Strauss non potranno certo mancare.
Nel concerto che terrai all’Arciliuto di Roma il 9 marzo, quali saranno le principali emozioni o messaggi che vorrai trasmettere al pubblico attraverso la tua musica?
Vorrei soprattutto cercare di comunicare la coerenza e l’impegno che io la mia band (Pietro Casadei, Fabrizio Fratepietro, Fernando Pantini) mettiamo sempre nel costruire uno spettacolo come quello del 9 marzo. Coerenza di vita e impegno di lavoro, con tutte le imperfezioni degli esseri umani: questo è il messaggio che vorrei lasciare al pubblico, una volta che sarà tornato a casa. E che l’emozione duri a lungo.