Machiavel – Phoenix (Moonzoo/Vrec, 2024)

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Nuovo album e nuovo cantante per i belgi Machiavel, sempre all’insegna del prog che incontra il pop colto.

I Machiavel sono una delle band più rappresentative del Belgio, con un sound tecnico e melodico sin dagli anni ’70 hanno portato la loro idea di rock progressivo oltre i confini nazionali, trovando consensi tra gli appassionati del genere, vantando una buona rappresentanza di fan anche in Italia. Un legame rinforzato anche dalla presenza del cantante Mario Guccio di origini siciliane, entrato in formazione nel 1977 e, tra scioglimenti e ritorni in scena, rimasto fino al 2018, quando si è arreso ad un tumore. Ed è a lui che è dedicato “Phoenix”, un titolo che dice molto sulla volontà di rinascere e andare avanti.

I Machiavel 2024, il cantante Kevin Colls è al centro

Ed è con il sostituto Kevin Cools che i Machiavel approntano questo nuovo album (che esce per l’italiana Vrec) che va ad allungare un’ampia discografia, che si è sempre mantenuta di ottimo livello. Rispetto al passato remoto è un lavoro più legato alla forma canzone, con tocchi eleganti, che comunque non sono mai mancati al quintetto del batterista e cantante Marc Ysaye, di cui vi abbiamo riferito tempo fa in occasione del suo esordio solista “Back To Avalon”. Marc e il bassista Roland De Greef, sono gli unici componenti sempre presenti in formazione sin dal primo disco omonimo del 1976. Queste undici nuove canzoni esibiscono un’eleganza incredibile e il nuovo vocalist si dimostra un vero asso, perfettamente dentro i meccanismi raffiniti della band, capace di valorizzare brani come la “Magical Mess” e “Drop The Mask” che con i suoi sette minuti è il pezzo più classicamente prog.

Ma anche quando il quintetto si muove nei sentieri del pop colto – ricordate i Genesis e gli Yes anni ’80 o l’ultimo Ringo Starr? – “When The Eagles Cry” e “Soulrise” per esempio, c’è sempre una ricerca armonica che evita la banalità. La conferma arriva quando si accendono bagliori hard prog in “Six Feet Under”, colorata da un refrain trascinante. “Downtown”, guidata da una bellissima linea melodica di chitarra solista e il tocco docile di “The Following Day”, con un coro che lascia spazio ad un malinconico giro di tastiere, sembrano omaggi a certo AOR letterato, sulla scia di certe ballate di Toto e Supertramp. In chiusura la dolcissima “Afterlife” che sin dal titolo sembra una dichiarazione di intenti, di andare oltre le sventure e i lutti, perché la vita merita di essere vissuta fino in fondo.

“Phenix” non è un ritorno effimero, fatto per timbrare un cartellino, è al contrario un disco intenso, in bilico tra prog e pop, pieno di belle canzoni.