Fabrizio Consoli e l’arte del palcoscenico.

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Un vero artista che sperimenta e cerca nuove strade. Fabrizio Consoli non è un cantautore classico, è un musicista che si mette in discussione. Eccole infatti alle prese con un album dal vivo dove contamina e non rilegge, come ci tiene a specificare, il proprio repertorio con trame jazz. “Perché – parole sue – sul palco tutto può e deve accadere”.

Ho la sensazione che il palco sia il tuo rifugio, il posto dove ti senti bene. Quindi non sorprende un tuo disco dal vivo (non è il primo), ma l’idea di rileggere i brani in chiave jazz come nasce?

Bella e inconsueta la parola che hai usato per definire il palco, perchè un rifugio è qualcosa in cui ti senti.. al sicuro, prima ancora che “sicuro”, una declinazione quasi psicanalitica, che varrebbe la pena approfondire… peraltro, molto vicina alla realtà- almeno per quanto mi riguarda. Un vero e proprio rifugio per l’anima. Come ricordavi, si tratta del mio secondo album dal vivo, spero che abbia la fortuna di “Live in Cape Town”, anche se il suo percorso inizia sotto la stella del paradosso: un disco “live” che, a causa della pandemia, farà fatica ad essere rappresentato… dal vivo!!!- almeno nel breve periodo.

Una cosa però, mi sento di dover puntualizzare, e cioè che non si tratta di una “rilettura” in chiave Jazz del mio repertorio (cosa che peraltro non mi dispiacerebbe affatto!), bensì di una “contaminazione” tra linguaggi, mondi e personalità. Contaminare con “certo Jazz”  il mio repertorio, ha regalato alle registrazioni momenti inediti e,  per certi versi, di totale irripetibilità- cosa che, a pensarci bene, è senz’altro una delle caratteristiche fondamentali, sia del Jazz, che del concerto dal vivo (o almeno, dovrebbe).

In questo senso, trovo quella del titolo una scelta particolarmente felice e, soprattutto, vera.

La frase sul disco (“Contaminare con certo jazz…”) forse è una risposta alla domanda precedente, ma mi incuriosisce sapere come avete lavorato per dare nuova vita alle canzoni?

Tecnicamente, la differenza sostanziale- rispetto allo spettacolo precedente,  sta nel fatto che ho (e abbiamo) preparato il concerto cercando di immaginare le canzoni come un insieme di “temi” o ”refrain” obbligati, legati, si, alle parti e ai cantati, ma concedendoci, a riguardo, briglie molto lente. Ho chiesto agli strumenti solisti, in particolare al Sax di Riccardo Sala e alla Fisa di Fausto Beccalossi di  intrecciare, commentare il tessuto melodico della canzone, e di “giocare” con la mia voce, e tra di loro, più liberamente di quanto non fosse scritto. Questo, unito alla conoscenza del repertorio degli altri elementi della band, Gigi Rivetti e Silvio Centamore, meno Jazzistica se vogliamo, ma molto “solida”, ha consentito di mettere le ali a uno spettacolo a volte persino troppo “studiato”.

Nel tuo lavoro di session man e collaboratore sei riuscito a portare qualche volta il tuo essere artista creativo? E viceversa quanto c’è del turnista nei tuoi dischi solisti?

Ho sempre avuto una grande capacità di immaginare scenari sonori, e ho avuto la fortuna di lavorare con artisti che hanno sempre apprezzato questa mia caratteristica, prima e più ancora delle doti tecniche del chitarrista. La classica frase che mi veniva spesso rivolta all’inizio delle registrazioni, era: “tu come la vedi, cosa ci senti qui?”… da lì si partiva con delle prime “takes esplorative”, alla costruzione di un mondo sonoro che risultava essere una mediazione tra la mia visione, il mio gusto e i bisogni arrangiativi e “strutturali” della canzone. Allo stesso modo nei miei dischi chiedo ai musicisti che suonano con me la loro “visione” del brano. La mia priorità è sempre la ricerca della bellezza possibile, insieme al tentativo di migliorare quello che posso esprimere. E non c’è dubbio che questo possa avvenire attraverso la condivisione del percorso.

La pandemia ci ha costretti chiusi in casa. Tu hai vissuto questo periodo generando idee o al contrario, come è successo a qualcuno, cercando nuove strade, quindi non solo musicali?

Dopo un comprensibile momento di sbandamento iniziale, ho vissuto il periodo di lockdown forzato riprendendo e approfondendo diversi tipi di letteratura, come (a proposito di “resistenza”), il neorealismo e la sua poetica per esempio. Ho ascoltato molta musica nuova e totalmente fuori dalle rotte del mainstream, ad esempio dischi presi  al “Jazzahead”  di Brema, spesso direttamente dalle mani degli artisti, spesso splendidamente sconosciuti al grande pubblico… Ma credo che la cosa più importante che ho fatto è mettere le mani sul pianoforte, per la prima volta nella mia vita, imparando qualche canzone del mio repertorio. Il risultato è visibile in un video live che ho poi realizzato in agosto, in cui suono e canto “SIRENA”***, in uno splendido teatro marchigiano, desolatamente e metaforicamente, deserto.


Fabrizio Consoli si guarda allo specchio: che cerchi di rubare nuove idee al suo doppio?

Ho cercato, per quanto possibile, di lasciare alla tristezza il minor spazio possibile. Paradossalmente, questo è più difficile in questo momento… non siamo costretti all’inattività forzata, ma in qualche maniera la paura e l’incertezza per quello che accadrà, lasciano meno spazio alla speranza, svuotando i live club, i teatri e i festival, rendendo inutili le energie che saresti disposto a mettere in atto per la promozione, per esempio, di un tour… E’ un momento terribile.

Pensi che in Italia la figura del cantautore ed io credo che tu lo sia, possa avere ancora uno spazio ed un pubblico o sono altri i linguaggi che il pubblico cerca?

Secondo l’accezione più’ classica del termine lo sono senz’altro, cosa che però non mi impedisce di sentire  la definizione un po’ datata e, francamente, un po’ stretta…  perchè se è vero che sono un cantautore, è anche vero che sono un musicista, un autore e un produttore, un performer, un intrattenitore.

Se togliamo la parola dal suo contesto storico, capisci che cambia tutto… la sua etimologia, per esempio, ci racconta di qualcuno che se la scrive e se la canta…sullo stesso piano piano ci possono essere rock band che si scrivono i pezzi o tutti i rapper e trapper e la cosa ha poco senso.

Per me che ho avuto la fortuna di lavorare con alcuni tra i più grandi cantautori italiani, quel che mi arriva dal cantautorato contemporaneo, è un po’ tutto già sentito o visto, con le dovute eccezioni del caso… eccezioni che, proprio a causa della disattenzione del nostro tempo, fanno una grande fatica ad arrivare al grande pubblico (potrei citarti, con grande piacere Max Manfredi, o Claudio Sanfilippo, per esempio). Tutto quello che faccio è soltanto cercare di far crescere la dimensione della A della parola “Artista”. Il problema delle etichette è che, alla lunga, macchiano la giacca. Indelebilmente, temo. 

Nella tua musica la figura femminile è presente con forza. Può sembrare scontato ma non è così, perchè le tue donne non sono quasi mai oggetto di  amore, ma le percepisco come presenze vitali. Cosa puoi dirci di più ?

Fondamentalmente resto convinto che tutte le vere canzoni siano canzoni d’amore.

In tutte le sue sfaccettature, dal dolore alla disperazione, dalla rabbia alla lotta e naturalmente al bisogno di provare gioia. E questo spesso, ma non per forza, per una donna. Anche perchè, come giustamente notavi, ho una visione della donna nella mia vita, così come nella vita di un uomo o nella società, un po’ come unico legame possibile con la nostra natura, la nostra vera essenza, con quello da cui proveniamo e verso cui tendiamo… col nostro profondo. E’ una presenza molto potente, fisica, sensuale, di cui sento un estremo bisogno, capace di sublimarci, di portarci a un altro livello di consapevolezza. Perciò una presenza sempre… salvifica. Ma non solo. Anche quando non salva, è dirompente e capace di creare. Anche semplicemente un vuoto, un cratere, una possibilità di cambiamento, a volte attraverso una sofferenza a cui non possiamo sottrarci. E’, l’incarnazione del motore di ciò che, come ci ricorda Dante, “ …muove il mondo e l’altre stelle

Una canzone come “Cultura” a chi vorresti farla ascoltare? E pensi che una canzone possa ancora cambiare la vita a qualcuno?

“La Cultura”, che nell’album “10”, occupa il posto dedicato al comandamento “non uccidere”, è una canzone molto dura, ed esprime esattamente quello che penso rispetto a come viene trattata la cultura in Italia, partendo dai bisogni che ne caratterizzano la genesi, per arrivare alle manipolazioni a cui è sottoposta da personaggi che, tutto sommato vivono, lavorano e prosperano attraverso la cultura espressa da altri. Ne diventano giudici- spesso carnefici, depositari di ciò che viene sdoganata come cultura “ufficiale”, ma che spesso poco ha a che fare con le diverse culture possibili ed esprimibili. La “cultura ufficiale”, è semplicemente espressione di ciò che “riesce” a succedere, per vari motivi che molto spesso non hanno niente a che fare col merito.  Il testo della canzone è molto definitivo, in questo senso. La cultura nasce comunque, anche se nessuno la vende. Nasce, luce dalle crepe dell’anima, come i fiori dalle crepe nel cemento. Nasce a prescindere dal potere che qualcuno (dal gusto a volte estremamente raffinato, altre estremamente rozzo e altre semplicemente inesistente), ha di imporla fino a decidere che un espressione debba esistere o essere semplicemente cancellata dall’indifferenza. Il discorso è naturalmente molto articolato… Ma tutte le culture dovrebbe essere tutelate, anche solo per la loro capacità, a volte potenziale, a volte rivoluzionaria, di indicarci strade diverse e diverse motivazioni per mettersi in cammino.

Le prossime mosse di Fabrizio Consoli quali saranno?

Bella domanda… Intanto, per la prima volta da molto tempo, all’uscita di un disco non corrisponde la preparazione di un tour, cosa già in se molto… dolorosa. Le prossime mosse saranno semplicemente quelle che mi sarà possibile fare, o meglio, quelle che potrò permettermi di fare… Per chi fa musica senza il conforto della notorietà, è sempre difficile, ma oggi più che mai… si può solo cercare di tenere la rotta di una barca che la pandemia sta costringendo a far acqua da tutte le parti…Promuoveremo questo live per quanto possibile poi credo mi butterò a capofitto nella seconda fase di realizzazione delle registrazioni del nuovo disco di inediti.

Biografia:

Fabrizio Consoli inizia la sua carriera nella musica degli anni ottanta come chitarrista al fianco di diversi artisti di primo piano della scena musicale italiana quali Eugenio FinardiAliceCristiano De AndrèMauro PaganiPFM e molti altri. Nel 1993 pubblica l’esordio omonimo a cui segue la partecipazione a Sanremo 1994 con la canzone “Quando saprai”. Mentre scrive e produce diverse canzoni di successo (per artisti quali Dirotta Su Cuba ed Eugenio Finardi) nel 2004 esce il secondo album  “18 piccoli anacronismi” con cui vince il Premio Ciampi. Il terzo album è del 2009 con “Musica per ballare” a cui segue  “Live in Capetown” (2012) ed una fervente attività europea, soprattutto verso la Germania, che adotta l’artista italiano e la sua musica invitandolo per numerosi concerti e partecipazioni a grossi festival musicali. Nel 2016 esce ufficialmente l’atteso “10” su etichetta iCompany una rilettura laica dei 10 comandamenti. Continua l’attività live europea (tra cui il concerto al Roma Jazz Festival)  immortalata nell’album “Con certo jazz” pubblicato il 2 ottobre 2020.