Cantante capace di affrontare passato e presente del rock, Moreno Delsignore, ci parla del suon nuovo album “Chamber Rock”, un tributo al rock di ogni epoca. Scopriamo così un’artista libero e sensibile, che ama le sfide, anche quando non si vince.
“Chamber Rock”, un album di cover. Perché una scelta di questo tipo: sfida, omaggio o perché stiamo rischiando che il rock, pur tanto chiacchierato, sta scomparendo per le nuovissime generazioni, interessate a tutt’altro?
Ciao Gianni e grazie per questo momento di incontro, sicuramente per omaggiare un genere musicale con il quale sono cresciuto e con il quale ho vissuto la maggior parte della mia carriera artistica, specie il periodo 1993/2015 con Scomunica. Va detto che molti dei miei riferimenti musicali attingono al rock perché è il tipo di vibrazione che entra in risonanza con una parte profonda di me, fatta di estremi, di dolcezza come di forza, di energia che risponde ad una natura ben prima che ad una scelta, non si suona rock, si è rock oppure no…con tutte le sfumature del caso…
Nessuna sfida perché questo album arriva in età matura, e le grandi difficoltà tecnico/interpretative racchiuse in questi brani erano già state superate negli anni, così da potermi permettere una serenità di approccio che fosse libera da pensieri e che potesse testimoniare anche quella parte di carriera da “interprete” che ha sempre accompagnato quella compositiva, in fondo, per imparare a cantare e suonare si passa necessariamente dal repertorio di chi ha fatto la storia.
La musica è espressione del proprio tempo ed il rock è qui dal 1950, con punti di massima espressione tra il 1965 ed il1987 ed alcuni sporadici episodi di valore, ad esempio il movimento grunge, successivamente, per arrivare ad un declino doloroso dal 2000 in poi.
Dico questo perché il rock è sempre stato anima, fuoco, “rottura”, provocazione e molto altro, ma non certo adeguamento ad un sistema sociale controllato e tristemente indirizzato all’annullamento dell’individualità, purtroppo, nel momento in cui si è smarrito il senso di appartenenza e di comunità in generale e nello specifico tra musicisti ed ascoltatori si è fatto il gioco di chi guarda alla musica per altri scopi, è un fatto che per esistere un genere musicale debba anche essere un prodotto di mercato, ma credo ciò debba avvenire per elezione naturale, altrimenti che differenza c’è con i vari tormentoni estivi spesso privi di contenuti?
I giovani sono bombardati da un sistema di fruizione guidata che non permette loro di andare alla scoperta di qualcosa che gli piaccia, si devono vestire in un certo modo, devono comportarsi in un certo modo, e devono ascoltare certa musica, altrimenti sono …out … e non c’è niente che faccia più paura di una potenziale solitudine. Sta a noi, amanti di una musica divenuta “classica” del 900’ cercare di offrire ai giovani conoscenza emotiva e bellezza, affinché possano scegliere …
Come hai scelto la scaletta? molto variegata stilisticamente. I brani li conoscevi tutti già prima di entrare in studio o qualcuno hai dovuto studiarlo?
La scaletta è nata da un punto d’incontro tra visioni e suggestioni mie come di Luca Sassi, talvolta ci trovammo più affini in altre occasioni molto distanti venendo da esperienze personali, formative e musicali diverse. Va da sé che cercassimo un equilibrio in grado di produrre uno stato di benessere in relazione al proprio bisogno espressivo ma anche attraverso l’incontro e l’ascolto reciproco, umano e musicale.
Conoscevo tutti i brani fatta eccezione per “No surprises” dei Radiohead, certo ascoltata, ma molto lontana da me per i suoi contenuti, tant’è che inizialmente non la “sentivo” addosso, poi feci una scelta di ricerca e mi addentrai verso la sostanza di quei contenuti.
Il grunge ed in particolare “Hunger Strike” fu un ottimo terreno comune, così come “Going to California” dei Led Zeppelin, oppure “Running to stand still” degli U2. Luca ebbe la grande capacità di comprendere, durante la fase di arrangiamento e ricerca, come la mia vocalità fosse consolidata per ragioni esperienziali e scelse, al di là di alcune resistenze iniziali, di assecondare musicalmente un mondo energico, dinamico, onirico fatto di intenzione rock, e di una marcata determinazione, tratto fondamentale se si vuole “quagliare…”.
La ricerca è fantastica, ti porta oltre ciò che di te conosci, ma, a mio parere è fondamentale “fissare i momenti”, scattare delle istantanee musicali che scandiscono il tempo di una carriera artistica e di una vita.
Quando canti cover o pezzi scritti da te, quanto cambia la tua impostazione vocale? Come lavori per mantenere una tua identità?
Questa è una domanda importantissima, della quale ti ringrazio: l’emulazione dei propri modelli vocali è necessaria per comprendere come abbiano potuto realizzare certe cose, e questo è perfetto in giovane età, suoni, gesti, atteggiamenti, tutto ti spinge nella direzione di ciò che vorresti essere, e, seguendo le naturali regole dell’apprendimento motorio, guidati dai nostri neuroni specchio … cercheremo di copiare… come quando da piccoli abbiamo appreso ogni altra cosa …Viene poi un tempo nel quale l’identità (laddove ci sia una personalità artistica marcata) chiede necessariamente spazio, specie se ci si è confrontati anche con il songwriting, ed ecco che le tonalità diventano una scelta obbligata, così come il suono ed il modo, infine, in una lunga infinita ricerca, ti avvicinerai sempre più a te stesso … in tal senso il canto, la musica come ogni altra forma di espressione è viaggio dell’anima …
Durante la session di registrazione “Chamber rock” il 20/10/2019 presso il PFL studio di Federico Provini furono fatte scelte forti, riprendere video ed audio senza alcuna possibilità di editing, come si sarebbe suonato su un palco, come in fondo si facevano una volta tutti quei dischi che ci hanno ispirato, la session dell’intero disco è durata 2 ore.
Sei anche un insegnante di canto. Cosa ti chiedono i tuoi allievi: che vogliono imitare il loro idolo o di fare un percorso. Spero che tu gli spieghi che urlare non serve a nulla. Dico questo perché da anni sembra che la gara sia a chi grida di più.
L’insegnamento del canto è stato parallelo alla carriera artistica fin dai primi anni ’90 e ad un certo punto compresi che non si trattava di due mondi separati, entrambi avrebbero tratto giovamento da un’unificazione, perché alla fine “canti quello che sei”, canti il tuo grado di libertà, e la tecnica vocale ti fornisce una grandissima libertà espressiva da abbinare al sacro fuoco della passione.
Nel 2019 dopo 32 anni di insegnamento ho fondato la mia scuola on line http://www.iltempiodellavoce.com raccogliendo una lunghissima esperienza e creando un sistema di studio interattivo fruibile da tutti i dispositivi, che permette a tutte le categorie vocali di implementare la propria capacità vocale in quei parametri fondamentali quali: estensione, dinamica, passaggi di registro, timbro ed agilità. Le fasce di pubblico che si avvicinano al canto sono varie, attualmente ci sono molti professionisti e semiprofessionisti tra i 25 ed i 60 anni, alcuni amatori, e giovani devo dire non sempre coerenti con i loro stessi desideri, ma anche di questo dar colpa a loro sarebbe troppo facile. Quando ero ragazzo i riferimenti italiani erano Lucio Dalla, Claudio Baglioni, Fabio Concato, Mina ecc. e già qui era chiaro che cantare significava “farsi un mazzo così”, se poi lo sguardo si apriva a livello internazionale tra Sting, David Coverdale, Freddie Mercury, Robert Plant, Steven Tyler degli Aerosmith, ecc., non c’era modo di sedersi o credere che potesse essere facile. Oggi, mancano in primis i riferimenti, e spesso si confonde il talento “urlato” di un personaggio con reali qualità, i cantanti che i giovani ascoltano sono spesso afflitti da patologie dell’apparato vocale (perché non studiano), spesso pubblicamente sovraesposti dai media ben prima di avere una consapevolezza vocale ed artistica, come sopra vale il principio di emulazione, “se lui è famoso così perché io mi dovrei sbattere?”
Tutto questo ha sempre più affossato un mercato musicale che langue talenti in mezzo a prodotti usa e getta dei quali non rimane infine nulla …Non sono nostalgico, sono realista, se cerchiamo contenuti raramente li potremo trovare in artisti sotto i 40 anni … la bellezza è un attimo rubato all’infinito….
Una domanda che scava nel passato. Con gli Scomunica aveva raggiunto bei traguardi. Ma perché in Italia, a parte Litfiba e Timoria, che sono le classiche eccezioni, una rock band non riesce mai ad entrare nel cuore del pubblico?
Per qualche strana ragione la discografia italiana dagli anni 70 in poi ha sempre boicottato le band, fatto salve alcune eccezioni, forse in ragione di una gestione pratica ed economica più semplice del singolo artista rispetto ad un gruppo. Occorre anche dire che l’Italia ha tradizioni musicali diverse, una capacità di composizione melodica alla quale tanti grandissimi artisti internazionali attinsero, la prima scuola vocale operistica nel mondo, un cantautorato di grande valore talvolta al limite della pure poesia, ma virata la boa degli anni 70’ e del movimento prog/rock furono pochissime le band che trovarono spazio, ed in molti casi lo specchietto luccicante del “turnismo” musicale al fianco di artisti singoli noti, fu preferito alla fatica della convivenza dentro una band con tutte le dinamiche umane e musicali che la trasformano in una vera e propria scuola di vita, in 22 anni di carriera con Scomunica ci furono diverse line-up ma pochissimi, uno su tutti Tommy Fiammenghi al mio fianco per 13 anni e nel disco “La lentissima fine del mondo”, seppero davvero cogliere l’importanza di quanto stava accadendo.
Scomunica lasciò un segno che mi venne riconosciuto nel tempo da generazioni successive, molti mi dissero “quel vostro primo disco ci ha dato il coraggio di inseguire il nostro sogno musicale…” furono momenti importanti ed emozionanti, migliaia di concerti, l’affetto continuo di un pubblico raccolto nel “Movimento Scomunica” che ci sosteneva, il coraggio di osare un genere difficile in Italia, di sperimentare, ma con il pregio di contenuti visionari e comunicativi, si suonava forte, si cantava in alto, si viveva il palcoscenico come una grande band inglese o americana … cosa mancava? La maniglia della porta … oltre la quale una discografia sorda e pigra preferiva attestarsi su posizioni di comodo e sfruttare, finché possibile, i progetti senza fare reali investimenti.
I Litfiba ebbero indubbiamente due punti di forza, la straripante personalità di Pelù e la capacità stilistica di Renzulli, i due uniti crearono un marchio di fabbrica di rara forza e riconoscibilità. I Timoria realizzarono alcuni brani pregevoli e vissero una stagione importante.
Nel breve futuro cosa dobbiamo aspettarci e, domanda da un milione di dollari: hai un sogno nel cassetto?
Intanto mi sento di dire che ogni stagione della vita umana e musicale sia meravigliosa, quindi con il cuore grato per il passato, vivo un presente felice in termine di espressione piena e ricerca, questi 2 ultimi album “Risveglio” e “Chamber Rock” mi hanno sicuramente proiettato oltre quanto di me potessi conoscere, ora ci sono nuove frontiere, un singolo fortissimo pronto, realizzato in collaborazione con Filadelfo Castro importante produttore di molti artisti italiani ed internazionali, un successivo album che sto arrangiando e producendo, la pubblicazione del mio primo romanzo, perché la forma canzone ad un certo punto si fece stretta, e poi osservando i grandi cambiamenti in atto nel mondo desidero essere presente in modo consapevole, credo che dopo tutto questo ci sarà bisogno di contenuti, di empatia, di anime che si parlano … io ci sarò.