Donna Summer: 72 anni fa nasceva la regina della Disco Music

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Oggi, Donna Summer avrebbe compiuto 72 anni. Ci ha invece lasciati improvvisamente, purtroppo, più di otto anni fa, nel pieno fulgore dei suoi talenti: una voce fuori dal comune, un carisma naturale, un catalogo stracolmo di hits, entrati negli annali della musica leggera, celebrati ancora oggi dalle nuove gnerazioni di fans e di artisti che a lei chiaramente si ispirano.

Originaria di Boston, Donna era nata l’ultimo giorno dell’anno 1948, e, dopo l’esplosione mondiale, nel 1975, del suo rivoluzionario “Love To Love You Baby”, celebre brano sensuale lungo circa 17 minuti,  era diventata una stella di prima grandezza non soltanto della Disco Music di cui è stata la Regina, ma della musica pop in generale raggiungendo vendite di dischi da capogiro, per un totale di 150 milioni di copie e cinque Grammy Awards.  Il suo lungo sodalizio con Giorgio Moroder e Pete Bellotte, insieme al genio imprenditoriale di Neil Bogart, fondatore della Casablanca, l’etichetta discografica ‘disco’ per antonomasia, produsse un catalogo di brani unico ed indimenticabile: dalla futuristica “I Feel Love”  a “The Wanderer”, passando per “Last Dance” (premio Oscar come miglior canzone da film per “Grazie a Dio è Venerdì), “Mac Arthur Park”, “Hot Stuff” , con cui, nel 1979, la Summer si aggiudicò il Grammy nella categoria Rock (prima artista donna e per di più di colore ad ottenere un simile riconoscimento), fino all’altro mega-hit “Bad Girls” e al superbo duetto con il mostro sacro Barbra Streisand, “No More Tears (Enough Is Enough)” contenuto nel fortunato Greatest Hits “On The Radio”. Inclusa nella Rock & Roll Hall of Fame un anno dopo la sua scomparsa, Donna si definiva una ‘ordinary girl’, una “ragazza qualunque”, a cui era capitata in sorte una ‘extraordinary life’, una vita straordinaria, raccontata in musica da lei stessa nel suo primo doppio album del 1977, l’autobiografico “Once Upon A Time” (“C’era una volta”), il cui tema conduttore, nell’incipit, recitava così:

“C’era una volta una ragazza che viveva nel paese dei sogni irreali, nascondendosi dalla realtà, trattata come un’estranea, intrappolata nel proprio mondo di fantasie”. Con queste liriche si apriva l’opera disco per antonomasia, il doppio lp che, per simbolismo, suoni e atmosfere, può considerarsi l’epitome del decennio dancefloor nelle sue declinazioni più dark, angoscianti e misteriose. “Once Upon A Time”, uscito sul finire del 1977 subito dopo il successo planetario di “I Feel Love”, segna l’apoteosi stilistica del trio  Summer/Moroder/Bellotte. “La loro disco al sintetizzatore è decisamente la musica del nuovo mondo”, scriveva Stephen Holden su Rolling Stone. Era raro, per un giornale rock, dare tanto lustro ad un 33 giri che disvelava il “Verbo Disco” nella sua essenza più introspettiva, inquietante e melanconica: “un altro trionfo per Moroder – enfatizzava il periodico – e per la camaleontica voce della Summer” la quale, cantando di “sogni irreali”, osa sfidare l’American Dream a colpi di sound futuristici, arrangiati dall’abile Bob Esty in una dimensione quasi disco-psichedelica. Mai si era osato tanto in un album di disco music, da cui in genere ci si aspettano ripetitivi inviti alla danza sfrenata e al divertimento estatico. Ma i testi della Summer conducono altrove, in una realtà metropolitana schiacciante, al limite “della follia e dell’alienazione:”…Once Upon A Time è il viaggio di una moderna Cenerentola in preda a un “via dalla pazza folla” esistenziale, intrappolata nella frenetica corsa “verso il nulla”, come ben reso dall’ansimante “Faster And Faster To Nowhere”. Brano quest’ultimo con un testo che, in periodi come quello che stiamo vivendo attualmente, fa davvero riflettere. I passi in neretto del presente articolo sono tratti dal libro: “La Storia della Disco Music” di Andrea Angeli Bufalini e Giovanni Savastano (Hoepli, 2019).