Achille Lauro: l’identità è frutto di tante cose

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“Mi sono accorto che la fotografia della mia generazione è molto simile a quella che va dal 1965 al 1980. Gente che non crede più in se stessa. Forse il problema più grande della mia generazione è il non sapere chi vorranno essere. Non crede in Dio e accetta le proprie dipendenze, come quella della tecnologia”. Lo ha detto Achille Lauro in occasione della presentazione del suo sesto album di inediti “LAURO”, in uscita venerdì 16 aprile per Elektra Records/Warner Music Italy.

Foto di Leandro Manuel Emede

“Solo Noi” e “Marilù” sono stati i brani apripista di un disco punk rock e grunge che alterna una tempesta d’animo per dare voce ai soli e agli incompresi. Achille Lauro parla al mondo degli irrisolti, dei fuori rotta, dei falliti e così l’album fagocita vite, storie d’amore, riflessioni sul bene, sul male e ciò che sta nel mezzo. “Sono uno che scrive tanto”, ha detto l’artista in videoconferenza su Zoom, “e mi sono ritrovato ad avere nell’ultimo periodo un centinaio di brani. Ne 2020 ho scelto, dopo essermi accorto di avere tanti brani, di realizzare “1920” e “1990”, progetti side di “1969”. Avevo deciso di rilasciarli fuori e regalarli alla gente. Quei due lavori sono figli del fatto che a un certo punto avevo tanta roba dello stesso tipo e quindi l’ho incasellata molto spontaneamente. Sono cose che nascono da sensazioni e stati d’animo. Fotografo una parre di me. Ho milioni di sensazioni e quando riesco ne fermo qualcuna”.

Come si caratterizza questo nuovo lavoro e i 13 brani contenuti?
Sono tredici facce di me che hanno qualcosa da dire e a cui tengo molto. Non mi interessa che tutti vi si rispecchino, ma abbiatene cura. Il disco si divide in due macro aree, una parte più introspettiva, perché l’uomo vive anche in uno stato di tormento perenne, e l’altro che riguarda l’altro mio aspetto caratteriale, quello più sognatore.

Quanto ha influito l’anno di lockdown nella realizzazione di questo disco?
Il 2020 è stato un anno abbastanza difficile, che ci ha costretti a stare chiusi nelle nostre case. In questa emergenza sanitaria tremenda ho cercato di fare qualcosa di buono da questo disastro. Un album che rappresenta veramente me stesso. Non ci sono solo i costumi, la performance i travestimenti. Qualcuno vede solo quello ma è solo la punta dell’iceberg. Sono ossessionato dal dettaglio, e prima di far uscire qualcosa lo metto in discussione cento volte.

Un messaggio evidente sin dalla copertina.
Si, è la metafora della vita. Raffigura uno stilizzato “gioco dell’impiccato” che forma la scritta nera LAURO, e dove la “O” finale è rosso acceso. Abbiamo fatto una cover minimalista, al contrario di quello che ci si sarebbe aspettato da me.

Foto di Leandro Manuel Emede

Tra le nuove canzoni c’è “Femmina”, che risulta molto attuale…
E’ una canzone molto rara perché parla di una caos molto comune: il maschio che si nasconde dietro la virilità. In un rapporto di coppia, quando si arriva a una situazione di stallo, una persona dice “faccio finta di niente e voglio essere uomo a ogni costo”. Ci si nasconde dietro la virilità per svilire la persona amata e per paura di perderla.

In questo periodo si parla molto dell’urgenza di approvare la Legge Zan per la lotta alla omotransfobia. Qual è la tua opinione al riguardo?
Io sono molto vicino a queste tematiche, sia per il messaggio dietro la mia musica, sia dal vivo. Tra l’altro sono ospite di Wladimir Luxuria al festival di Torino che trattava proprio di questi temi. Sono vicino ai diritti umani in generale, ad aiutare le persone concretamente, penso che siano la base di oggi. Se immaginiamo un futuro, credo sia alla base il difendere il diritto di scelta, in generale, non solo quello di amare ma anche quello di dare la possibilità ai giovani di capire che la scelta ad un cambiamento è possibile ed è doverosa. Di scegliere, di fare qualcosa di diverso, pensare a qualcosa che ancora non esiste rispetto al futuro. Ci troviamo in un momento di transizione della storia dell’umanità, quindi imprigionare le persone nei recinti equivale a privare noi della novità. Se non partiamo dei diritti umani, da dove partiamo? Mi sembra anche assurdo parlarne. Siamo figli di cent’anni di stereotipi pericolosi, se questi sono i presupposti non abbiamo imparato niente dalla storia.

Cosa rappresenta fare musica per te?
La musica non è solo un passatempo, è qualcosa di profondo. Quello che io faccio non è solo metti un costume o una parrucca, ma in me c’è la voglia di portare qualcosa di più grande. Non solo la musica che già ha un suo valore, ma anche farvi entrare nel mio mondo. Sono cresciuto in una comune di ragazzi dove c’erano artistoidi di tutti i tipi, disgraziati, delinquenti, scappati de casa, figli di nessuno e c’era pure qualcuno che scriveva molto bene. Mio padre ha fatto il professore universitario per tuta la vita e la sua carriera l’ha fatta per meriti. Sono figlio di gente onesta, e il mio saper fallire viene proprio da questo, da gente che non ha avuto quello che forse gli sarebbe spettato.

Si parla ancora della tua recente performance al Festival di Sanremo. Sei soddisfatto o pentito?
Non mi sono pentito di aver fatto Sanremo. Anzi ringrazio di aver avuto questa possibilità da un genio dell’intrattenimento come Fiorello e un visionario come Amadeus, che ha fatto un lavoro da professionista vero, facendo una scelta rispetto a quello che è oggi la musica italiana. Sono contento perché quello che faccio per molti artisti vuol dire che esiste qualcosa di diverso all’appiattimento, alla globalizzazione, poi se ci vogliamo ritrovare con solo reggaeton in radio per me è l’inferno. Quest’anno sono stato ospitato all’interno di un format tv. E potevo fare la semplice promozione del mio album in uscita. E invece ho cercato di portare uno spettacolo nello spettacolo. E ho fatto mie canzoni famose e nessun inedito e ho costruito uno spettacolo. Perché a me piace creare. E’ stato un grande passo per me chi mi seguiva ha capito che stiamo cominciando a fare sul serio. Sanremo fino a tre anni fa era vista come una cosa antica, non utile per la promozione, i giovani avevano paura di salire su quel palco, io invece quest’anno ho notato tutto il contrario, anche perché’ abbiamo dato prova di come si può usare la televisione e non essere usati. Tutti quelli che hanno pensato che ci avessero buttato con un calcio sul palco di Sanremo dovrebbero farsi una settimana di lavoro con noi e vedere quanto stiamo attenti ai dettagli. Sono contento di quel percorso a Sanremo perché’ un po’ più di gente avrà capito quello che c’è dietro.

Di recente Renato Zero, artista cui spesso sei stato paragonato, ha detto che oggi ci resta almeno qualche sprazzo di eccentricità. Cosa ne pensi?
Sono d’accordo con Renato che di Renato Zero ce n’è uno solo, ma così come anche di Achille Lauro. Siamo due identità distinte e il paragone è sbagliato. Per quanto il costume ci accomuni ognuno di noi ha dato qualcosa di unico e originale.

Anche tu conosci molto bene le difficoltà di chi vive in periferia.
Io ci sono cresciuto e sono molto vicino, i miei amici vivono ancora lì. Con la mia musica cerco anche di aiutare, ma non lo sto a sbandierare le cose che facciamo nella nostra vita privata sul sociale, siamo contenti che restino là perché l’importante è fare più che dirlo.

Foto di Leandro Manuel Emede

Ci sono film e libri che ti hanno influenzato in maniera particolare?
Ci sono tanti titoli e generi e penso che nella mia musica si senta. Posso dire che nell’ultimo anno sono stato molto influenzato dal cinema di Christopher Nolan e da quel mondo un po’ fantascientifico, che poi si è visto anche in serie come “Black Mirror” dove si immagina un futuro distopico. Predo molto da tutto. Non solo film e libri, ma anche nel parlare con le persone. Credo che niente nasca dal niente. E’ un bel frullato. Per questo quando mi paragonano a questo o a quell’artista rispondo che “l’identità è frutto di tante cose”.