Ricky Turco, la batteria è educazione al lavoro, il jazz è una metafora della vita: improvvisazione, disciplina e ritmo.

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Musicista, insegnante, educatore, organizzatore di eventi, Ricky Turco è un batterista jazz dai mille volti, che ama e cerca le sfide. Un musicista pieno di iniziative che, partito da Verona, ha portato la sua visione in giro per il mondo, suonando anche con i suoi miti. E, come dice lui stesso: “Se ogni giorno non impari qualcosa, è un giorno sprecato”.

Ciao Ricky!

Nella tua lunghissima biografia trovo: musicista, educatore e produttore. Mi ha colpito naturalmente “educatore”. Puoi dirci qualcosa di più a tal riguardo?

Il termine “educator” va inteso, in primis, come “didatta”. Nel corso degli anni di studio e di insegnamento ho maturato l’esigenza di creare un percorso di formazione per i batteristi ben strutturato e completo, sul modello dei rinomati istituti musicali statunitensi come il Musicians Institute, dove mi sono formato. I programmi che ho perfezionato sono articolati sia nelle varie materie fondamentali dello strumento che in quelle complementari, come pianoforte, elementi di storia della musica e analisi dei grandi maestri della batteria, non solo dal punto di vista tecnico e artistico, ma anche e, soprattutto, da quello psicologico e umano. Sulla base di queste analisi e delle mie esperienze come musicista professionista di lunga data si sviluppano costantemente discussioni sugli aspetti motivazionali e professionali del musicista, che contribuiscono in modo determinante alla maturazione dello studente. In questo senso mi sento di svolgere anche il ruolo di educatore.

Il tuo nome è legato al jazz? Come lo scopri? E mi incuriosisce che sin da giovane ti sei sentito incollata addosso questa musica? È una cosa un po’ inusuale, non trovi? Di solito da ragazzi si parte dal rock o dal pop.

In realtà le mie radici musicali affondano nel prog ‘70 e per tutta l’adolescenza ho suonato in situazioni orientate a quel genere, proseguendo lo sviluppo artistico nella new-wave degli ‘80. Fu durante il periodo trascorso al P.I.T di Hollywood che mi ritrovai totalmente immerso nella fusion e nel contemporary jazz. Circondato da veri protagonisti di questi generi, giorno per giorno, aumentava naturalmente la conoscenza e la passione. Tornato in Italia mi sono ritrovato a lavorare subito come turnista, soprattuto a Milano, in svariati generi musicali, ma gli artisti impegnati nell’ambiente jazz mi chiamavano e, quindi, i progetti artistici andavano sempre più in quella direzione. Ad ogni modo continuo ad essere chiamato anche per situazioni in altri generi.

Quando la musica nella tua vita diventa un lavoro, nel tuo approccio cambia qualcosa? E dopo tanti anni come tieni viva la passione?

Cambiano i presupposti e, di conseguenza, l’ottica generale. Dal momento che la tua sussistenza dipende dalla tua arte, ogni sforzo è orientato al raggiungimento del risultato. Non ci sono regole sui modi per ottenerlo ma certo è, che sei costretto a dare il meglio ad ogni costo, a superare i tuoi limiti, a provarle tutte per migliorare e aumentare così la tua attività. Questa costante spinta alla crescita, come pure l’amore viscerale per tutta la splendida musica che i musicisti eccelsi continuano a produrre, costituiscono le fiamme di una passione imperturbabile.

Sei un quotato musicista ed un insegnante molto stimato. Hai anche redatto un paio di apprezzati testi di apprendimento. Chi sono i tuoi studenti? Che tipo di relazione instauri con chi vuole imparare da te? Accetti tutti o fai una sorta di preselezione?

Attualmente la maggior parte dei miei allievi è costituita da giovani in età di studi universitari di  varia provenienza, che aspirano ad un’alta formazione e che intendono operare nell’ambito musicale sia come professionisti che come amatori, ma con un approccio professionale. Frequentano per parecchi anni, perché i Corsi sono strutturati per livelli con l’obiettivo  dell’ottenimento del Diploma finale che ha un forte accreditamento di prestigio sul territorio non solo nazionale. Continuo a seguire anche alcuni principianti, per mantenere vivo lo stimolo a migliorare la didattica del livello base, anche perché viene utilizzata da tutti gli insegnanti che operano sotto il marchio Modern Drums Institute. All’inizio del rapporto eseguiamo un test finalizzato unicamente alla collocazione dell’allievo nel giusto livello. In seguito all’emergenza sanitaria una discreta parte delle attività didattiche viene svolta di buon grado dagli allievi anche online.

Il jazz è nato soprattutto come musica dal vivo? È ancora così? Si improvvisa ogni sera, perché ogni sera è diversa?

Nel jazz ogni musicista è chiamato a mettere in campo un’intensa carica espressiva, i cui contenuti poggiano su un elevato livello di capacità artistiche. La gestualità dei corpi sugli strumenti assume la massima rilevanza, le dinamiche sonore creano reazioni emozionali. E’ naturale che il miglior modo di fruire questa musica sia quello “dal vivo”. L’improvvisazione rappresenta una parte vibrante dell’espressività, perché in essa l’artista può esprimere la propria musicalità con la  massima libertà possibile consentita dal contesto. Nettare per il buon ascoltatore che apprezza l’essenza della musica. Il jazz è costituito da ampi spazi improvvisativi e di conseguenza, sarà sempre un genere estremamente emozionante e mai uguale a se stesso.

Mi incuriosisce il pubblico del jazz? Chi è oggi che ascolta jazz? Come hai visto cambiare il pubblico in tanti anni di musica dal vivo?

Le persone che apprezzano il jazz sono accomunate dalla capacità di saper riconoscere ed apprezzare la qualità della musica. Si tratta di un pubblico molto eterogeneo, che dipende dal livello culturale generale del luogo geografico e del periodo storico.

In linea generale potremmo azzardare due tipologie di appassionati: gli intenditori, che conoscono e apprezzano, con le dovute preferenze, i vari generi jazzistici e la gran parte dei loro grandi musicisti sia del passato che del presente. Questo gruppo è costituito da un numero pressoché costante, di adulti di una certa età oppure da giovani musicisti che studiano musica jazz. Poi ci sono i “simpatizzanti”, soprattutto adulti, con una certa cultura e rari giovani, che completano i loro gusti musicali variegati con alcuni stili jazz, di solito, più accessibili o più contaminati.

Quando ci siamo visti, mi ha sorpreso sentirti parlare di sperimentazione, di nuovi percorsi. Eppure per molti il jazz è roba vecchia, solo standard. Invece ho la sensazione che, proprio perché lontana dal grosso business, sia un suono capace di essere veramente libero e di dare spazio alla creatività pura. Cosa puoi dirci a tal proposito? E quali sono le scene mondiali più attive e coraggiose?

Finita l’era in cui swing e bebop erano generi popolari che producevano successi da classifica, la musica jazz ha continuato a vivere un costante sviluppo su due fronti. Le star di quell’era insieme ai loro giovani successori hanno saputo, da una parte, tener viva la “tradizione” diffondendo per il mondo la loro musica con spirito sempre rinnovato e dall’altra, creare nuovi stili, grazie a nuove evoluzioni e contaminazioni. Ciò è potuto accadere perché il jazz ha un impianto stilistico fondamentalmente semplice basato su struttura dei brani, interplay e improvvisazione e, quindi, in grado di evolversi oppure di accogliere forme espressive di qualsiasi altro genere. Anche il jazz europeo ha contribuito in modo determinante a questo processo evolutivo a partire dagli anni ‘70, grazie soprattutto alla ECM Records. Mentre dagli anni ‘90 molti degli artisti, a mio gusto, più interessanti dell’avant-guarde jazz provengono dai paesi scandinavi.

Verona è nota come città beat e blues, ma anche il jazz ha la sua bella fetta di pubblico. Come lo hai visto cambiare negli anni? Cresce con i musicisti o pensi che con il tempo si rigeneri? Insomma la vecchia regola: qualcuno abbandona la nave ed altri ci salgono sopra? E quello che succede nella nostra città, si replica ovunque oggi?

Ci tengo a ricordare che il Verona Jazz Festival è stato per circa trent’anni una delle manifestazioni più rilevanti del panorama jazzistico nazionale, grazie all’amico compianto Lelio Tagliaferro, che ha portato nella nostra città tutti i maggiori esponenti a livello mondiale. Ciò ha contribuito negli anni a creare una cultura della musica jazz, anche se attualmente, purtroppo, non vedo la volontà nel settore pubblico volta alla preservazione di questa preziosa eredità. Mi pare, invece, di poter affermare, che la presenza di almeno un jazz club (Le Cantine de l’Arena) abbia contribuito a mantenere vivo l’interesse per questa musica. Non essendo un genere di largo consumo, il jazz va sostenuto anche da iniziative con finalità culturali e, quindi, verosimilmente ogni realtà cittadina potrebbe avere una sua evoluzione peculiare.

La nostra città ha musicisti giovani che suonano jazz? E che tipo di approccio hanno?

Nel ventennio trascorso va registrato senz’altro un aumento dei giovani che si approcciano allo studio del jazz, grazie ai motivi sopra esposti, ma anche grazie all’introduzione di un percorso formativo dedicato nei Conservatori. Personalmente ti posso dire che gli studenti che intraprendono con me il percorso di formazione jazzistica sono fortemente motivati e impegnati nello studio, non solo perché il mio programma è molto completo, ma anche perché conoscono la mia esperienza artistica nel genere.

Restando in tema di giovani musicisti, nel rock, molti non comprendono l’importanza di conoscere la storia della musica che suonano, di coglierne le sfumature evolutive. Si legano a qualche idolo, cercano di imitarlo e pensano che sia sufficiente così. Nel jazz accade la stessa cosa o c’è maggior rispetto e voglia di conoscere la storia?

La mia sensazione è che le nuove generazioni mostrino una generale tendenza a consumare qualsiasi tipo di musica in modo piuttosto superficiale e rapido. D’altra parte c’è un certo numero di giovani, che si differenzia dalla massa e che si costruisce una propria cultura musicale. La maggior parte degli studenti di musica appartiene a questa “nicchia” e, direi, a prescindere dal genere. Certo è che la musica jazz ha avuto un’evoluzione storica complessa e così ricca di sfaccettature, spesso  recondite, da richiedere approfondimenti più meticolosi, che solo i ragazzi più appassionati riescono ad intraprendere. Per questo nei corsi ad indirizzo jazzistico diamo estremo spazio allo studio dei vari stili jazzistici e alla guida all’ascolto.

Quali pensi siano le soddisfazioni più grandi ad oggi che hai raggiunto?

Le varie collaborazioni con artisti rinomati sia americani come Paul Gilbert, Frank Gambale, Robben Ford, che nazionali come Mauro Pagani, Andrea Braido, Alex Stornello, sono state esperienze fondamentali. Sono, poi, molto soddisfatto dei risultati ottenuti con il trio “milk.”, inserito più volte nel programma del Jazzit Fest in Umbria e, con poche altre formazioni italiane, in quello del Jazzit Club (Roma). L’ingresso nelle formazioni del sassofonista Luca Donini mi ha dato, infine, impulso alle partecipazioni ai festival di rilievo nazionale e internazionale.

Nel campo della didattica è senz’altro una grande soddisfazione vedere i miei metodi Modern Drums Institute ben venduti in tutta Italia, in qualità di responsabile della sezione di batteria del Modern Music Institute. Inoltre, la richiesta di entrare nel team “The New Breed drummer”, composto da blasonati batteristi americani come Chris Coleman, che dimostrano il metodo del leggendario Gary Chester, ha rappresentato per me un importante riconoscimento, come un premio alla carriera.

Cosa dobbiamo aspettarci per l’immediato futuro delle tue attività?

E’ in fase organizzativa il tour estivo con Luca Donini all’estero, in Croazia e con il trio “milk.” in Austria e forse Germania.

Presto dovrebbe uscire un mio video nel canale “The New Breed Drummer”. Inoltre, essendo stato inserito nel comitato didattico di questo team, sto collaborando alla creazione di un programma di studio con diploma finale per gli studenti che studiano il metodo New Breed in tutto il mondo.

Tra le tante cose che hai fatto, cosa ti manca? Qual è il sogno nel cassetto di Ricky Turco?

Una delle situazioni ove mi trovo più a mio agio è la performance con partiture scritte. Mi piacerebbe lavorare con una big band in spettacoli televisivi, dato che in teatro mi è già capitato di farlo. Infine, a dir la verità, mi piacerebbe collaborare con un artista molto rinomato e quindi con una grande pubblico.

Grazie Ricky e buona fortuna.

Sono io che ti ringrazio per le domande. E grazie al sito musicalnews. Abbiamo davvero bisogno di contenitori artistici libero come questo!!

Biografia di Ricky Turco:

Ricky Turco si è esibito per diversi anni come batterista a partire dall’età di tredici anni con numerose band locali con repertorio progressive rock e new-wave. Ha lavorato in studio e dal vivo come professionista dal 1991 con moltissimi musicisti della zona di Milano, Verona, Bologna e Firenze e di fama nazionale, fra i quali Giorgio Cordini (chitarrista di Fabrizio De André), Andrea Braido, Mauro Pagani. Con il gruppo Cattive compagnie; (Gala Records-Ricordi) ha inciso un disco, ha partecipato a trasmissioni radiofoniche e televisive nazionali (ad es. Rete 105, Videomusic) e partecipato a due tour in italia del nord e del sud. Con gli Exilia (Universal) ha registrato un disco e suonato nella gran parte dei più importanti locali del Nord-Italia. Con la band di Laura Smiraglia (CGD East West) ha partecipato al tour promozionale del suo primo disco.
Ha inciso, inoltre, un disco per l’etichetta Philology con il jazz trio “milk.”, suonando in importanti Festival tra i quali Jazzit Fest, Jazzit Club, Festival Ostia Classic. Vanta prestigiose collaborazioni con artisti di fama internazionale come Paul Gilbert, Frank Gambale, Bob Franceschini, Irene Robbins e nazionale fra i quali Alex Stornello, Stefano Calzolari, Manuel Belli, Ivano Borgazzi, Stefano Cappa, Luca Pisani, Roberto Pascucci, Enrico Merlin, Achille Succi, Karin Mensah, Morris Pradella, Dudu Kwateh, Stefano Calzolari, Giancarlo Tossani, Donato Bertoni, Teo Ederle, Stone Seneya, Joe Sanketti, Davide Zenari. Ricky viene spesso chiamato in studio d’incisione come turnista. Ha inciso, infatti fra i tanti, nel progetto Fishes di Teo Ederle, per la cantante Giulia Daici, per il sassofonista Francesco Caliari (Deep Matter), il cantante Riccardo Bonvicini e nell’ambito del progetto Mahatma (Azzurra Records). Attualmente suona regolarmente con il Quartet ed il Quintet del sassofonista Luca Donini, con il jazz trio milk., con Donato Bertoni; the Double Bubble e con Alex Stornello Trio e Quartet.

WEBSITE:https://www.rickyturco.it


VIDEO DIMOSTRATIVI:

https://www.youtube.com/watch?v=fvH_jRXCcn4&t=41s

https://www.youtube.com/watch?v=BPP72zOs5To

https://www.youtube.com/watchv=6eFCJdnpyS8

https://www.facebook.com/100001819709029/videos/5069423069794966/

https://www.facebook.com/100001819709029/videos/5584962474907687/ 

VIDEO DIDATTICA:

https://www.youtube.com/watch?v=ApO54TvMM6E&t=80s

https://www.youtube.com/watch?v=L_PKQyw4FYA&t=68s

https://www.youtube.com/watch?v=y1tSgahTRTM&t=119s

https://www.youtube.com/watch?v=E69tStFcoGk&t=14s

https://www.youtube.com/watch?v=Yg2Kd-3rzjQ&t=13s

VIDEO PROGETTI ARTISTICI:

https://www.youtube.com/watch?v=SHiZNa_50gw

https://www.youtube.com/watch?v=fnQ2wJWSUqU