Il trattato su La bellezza che brucia firmato Black Banjo

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Già dalla copertina di The beauty and the burst raffigurante la Venere di Botticelli con in mano l’arnese che ha reso celebre il signor Les Paul, si può dedurre il contenuto del secondo disco Black Banjo di Alessandro Alessandrini. Da un lato l’amore per il blues e dall’altro la ricerca della bellezza, in questo caso del buongusto musicale. Il disco prosegue sulla scia del precedente, in termini di collaborazioni importanti Johnny Neel (Dichy Betts Band), Fabio Verdini (Tiromancino) e Diego Primucci alla chitarra.

Alla sezione ritmica Francesco Caporaletti ed Archelao Macrillò. Magari in questo disco traspare più l’accezione pop del linguaggio blues caro ad Alessandrini e l’asticella qualitativa si alza in quanto ad arrangiamenti più curati oltre che ad una produzione (Potemkin Studio di Andrea Mei) che meglio del precedente Out of the skies, già buono, interpreta e valorizza l’inserirsi della chitarra nel dialogo con i tastieristi sopra indicati e le linee vocali. Belli i cori dello stesso Alessandro a sorreggere i momenti clou di ogni canzone, esaltandone il phatos. Questo disco può essere un ottimo compagno di viaggio nelle lunghe trasferte come anche un caldo sottofondo nelle serate in compagnia; note per organi caldi se vogliamo parafrasare un certo autore americano.

1. Ophelia
2. Full moon rising
3. When will I be free
4. When the smoke clears
5. Medicine men
6. Delilah
7. Far away from Cali
8. 4th of July
9. Rise