Rikochet – Kinaesthesia Empathia (Andromeda Relix, 2024)

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Parto con il botto: da anni non sentivo un disco italiano di rock anni ’90 di tale intensità e qualità. Otto canzoni che fotografano il debutto dei Rikochet, band veronese con alcuni anni di storia, come uno dei lavori più sentiti e coinvolgenti tra quelli che guardano a quel periodo che in questi giorni, a trenta anni dalla morte di Kurt Cobain, tutti narrano e mitizzano.

La scrittura è di altissimo livello e la voce di Poly, mente del progetto, è micidiale, ruvida e rotonda allo stesso tempo, totalmente calata in quel periodo, con un timbro che accoglie Kurt Cobain, Layne Staley e una raucedine personale che è un timbro di distinzione.

Non c’è dubbio che tra gli spartiti di “My Own Private Intersection”, un inizio con il botto, “Red Velvet” e “Not Just Yet” – che cori!!, – “Unknown Consequences”, meno aggressiva del resto, “Feel Life” che mescola U2 e Soundgarden, “Empirical Break” e qui è solo ruggine grunge e “Missing Ring”, una ballata drammatica che chiude il disco con un fiume di malinconia. Ascoltiamo anche intersezioni di Deftones, Linkin Park e Queens Of The Stone Age, Foo Fighters, ma l’impasto è un passo più indietro, nel grunge o al significato che volete dare a questa parola. Infatti, suoni – a proposito voto alto alla produzione – melodie e cori, ci catapultano nel cuore tormentato di quegli anni.

Se amate questo tipo di sonorità, non fatevi vincere dalla pigrizia o “tanto conosco già tutto”, questo è un grande disco, che si ascolta continuamente. Bravi, bravi, bravi Rikochet!!

Chiudo con una postilla che da tempo rimando per l’amicizia che mi lega con i gestori della label, ma questa volta non mi tiro indietro: un altro grande album targato Andromeda Relix, a mio avviso una delle migliori etichette indipendenti italiane, capace di muoversi in modo circolare nel panorama rock, senza catene stilistiche, mantenendo un livello qualitativo eccellente. E “Kinaesthesia Empathia” ne è l’ulteriore conferma.