Seconda parte dell’incontro con Maurizio dei Capone & BungtBangt

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Il 30 Ottobre la prima parte dell’incontro con Maurizio Capone. Abbiamo parlato di tante cose, passando dalla loro esperienza sanremese al sostegno dei Fridays For Future, sino alla sottile differenza tra junk music e musica ecologica. Ora è giunto il momento di affrontare altri aspetti di questa loro lunga vita al servizio della buona musica..

Quali sono le canzoni impegnate socialmente del passato che ti hanno formato? Penso infatti che il vostro impegno affondi le radici in una produzione musicale che nasce da lontano….
Da quando scrivo canzoni le tematiche sociali e civili sono sempre state il mio tema centrale. Pensa che quando nel 1984 fu ucciso Giancarlo Siani e noi 666 dopo tre mesi scrivemmo una canzone a lui dedicata che successivamente è stata riconosciuta come la prima canzone anticamorra in assoluto mai scritta da artisti napoletani. Ho una repulsione per le diseguaglianze e le ingiustizie, sono nato in un luogo dove le contraddizioni ti obbligano a prendere posizione, la musica è da sempre interprete delle battaglie civili, e nonostante siano solo canzoni molte volte scuotono più di tanti discorsi. Come ti dicevo artisticamente nasco nei primi anni ottanta, quindi in un certo senso sono figlio dei settanta, della cultura hippie, porto dentro di me film come Fragole e Sangue, Piccolo Grande Uomo e tutte le musiche di protesta di quegli anni, gli Inti Illimani, Jimi Hendrix e soprattutto Bob Marley e la scena rap delle origini, quando non era gangsta ma sopratutto rivendicazione dei diritti dei neri. La chiave dei miei testi è li dentro, nei paralleli con la realtà italiana che anche ha tante ambiguità e false uguaglianze ben travestite da perbenismo e political correct. C’è un nostro pezzo che mi piace molto, si chiama White Black e l’ho scritto per scuotere questo incredibile disprezzo per i migranti che serpeggia in Italia; white black era il termine con cui venivano offesi gli italiani quando facevano gli emigranti negli Stati Uniti. Questo mi ha fatto molto pensare su quanto le sofferenze e la compenetrazione ci tocca solo se siamo noi in prima persona a subire la sofferenza. I neri-bianchi, gli Italiani, erano esattamente uguali ai neri-neri che vengono oggi in Italia, m noi lo abbiamo dimenticato e se vai a leggere i commenti al video capirai molto del degrado della nostra società. Ma questo certo non mi scoraggia, anche perchè se vedo come si comportano gli altri stati credo che l’Italia sia ancora un buon posto.
Lo show Junk solo quanto è differente da un normale spettacolo con tutta la band?
E’ molto diverso. Credo di poterlo definire più un happening, un incontro artistico tra persone. Mi piace molto la semplicità con cui l’ho costruito. Non uso loop station, ne basi, mi propongo esattamente per quello che sono. Uso i miei strumenti per accompagnarmi nelle canzoni, come farebbe un cantautore, solo che io non ho chitarra o pianoforte, ma scopa elettrica e bi-dé. Racconto la nascita degli strumenti che rappresentano la trasformazione, da una vita precedente che si è esaurita e li ha portati nella pattumiera, fino alla rinascita in una nuova forma, che esteticamente è la stessa ma sostanzialmente è molto diversa. Una grande metafora che vale per gli esseri umani. Niente è spazzatura, nessuno è finito finché vive, ma qualcuno deve credere nella possibilità di una ri-evoluzione. Nel caso dei miei strumenti sono io che ho fiducia nel fatto che un barattolo, una scopa o una scatola di polistirolo possano diventare degli splendidi strumenti, e questo accade in modo molto semplice davanti agli occhi di tutti, e tutti percepiscono questa possibilità per se e per gli altri. Naturalmente questa sorta di misticismo che permea il concerto è mitigato dalla mia ironia da scugnizzo irriverente, quindi niente morali o prosopopee. Tutto molto easy per arrivare più lontano possibile, questa è la chiave per farsi ascoltare ed anche per non prendersi troppo sul serio.
Hai un ricordo particolare per qualcuna delle collaborazioni che avete avuto?
Si tra le tante un paio forse più significative: quella con i Negramaro perchè li conoscemmo al Tim Tour quando loro parteciparono come concorrenti e noi invece eravamo li come special guest. Ci conoscemmo e diventammo amici, loro erano nostri fan. Poi qualche anno dopo sono diventati dei numeri uno e ci hanno invitato più volte come loro ospiti anche nel tour degli stadi dimostrando una semplicità che non è così comune nel nostro ambiente. Credo sia dei ragazzi veramente con un grande cuore. La seconda invece riguarda un grandissimo del jazz internazionale, il batterista dell’Art Ensemble di Chicago, Don Moye. Una personalità di altissimo livello che conoscemmo al Pomigliano Jazz Festival e che si commosse, nel vero senso della parola, nel vederci suonare. Mi disse delle parole che non dimenticherò mai e le sue lacrime di emozione le ho ancora impresse nella mente…anche se lui mi disse di non dirlo a nessuno! Qualche tempo dopo abbiamo scritto e registrato un disco a sei mani io, lui e Baba Sissoko ed ancora stiamo progettando altro da fare insieme.
La band ha avuto molti cambiamenti negli ultimi 20 anni: quali sono ora i tuoi più vicini collaboratori?
Tenere in piedi una band per venti anni avviene solo per scelta, la carriera di un’artista è altalenante, a meno che non si arrivi al top e questo accade a pochissimi. Quindi bisogna contemplare momenti up e momenti down, ovviamente quelli più complessi sono i momento bassi. E’ inevitabile questa ondulazione ma è anche ovvio che ci si squilibri. La band ha avuto tanti musicisti che sono entrati ed usciti, ma il nucleo attuale con Maestro Zannella e Horùs è quello che ha resistito ormai dal 2005 con l’eccezione di Mr. Paradais che è con me dagli anni novanta, è stato il batterista della mia prima formazione da solista nel 1992 ed è ancora qui con me. In ogni caso quando ne abbiamo l’occasione ampliamo l’organico come quando nel 2017 abbiamo fatto Mozzarella Nigga Urban Musical prodotto dal Napoli Teatro Festival, in quel caso sul palco eravamo in quindici. Poi c’è da dire che il dualismo insito nel progetto tra band ed artista solista giova alla sopravvivenza perchè molte volte la mia attività da solista porta occasioni anche per tutta la band e mi permette di fare da cuneo per creare occasioni di condivisione. Insomma l’elasticità è uno dei segreti per la longevità.

Cosa manca a Capone & BungtBangt per avere un degno posto al sole?
… sai in un mondo dove l’effimero è diventato un elemento dominante può essere scomoda la nostra presenza. Mi è rimasto impresso nella mente quando nel 1987 eravamo prodotti da Pino Daniele e quando lui propose il nostro disco alla EMI il direttore artistico gli disse ..la gente non vuole sentir parlare di problemi, la musica deve essere esclusivamente fatta per svago.. Quel disco non è mai uscito ed il singolo scelto da Pino era proprio Troppo in fondo, il brano scritto per Giancarlo Siani. Ecco questo è un esempio, antico ma sicuramente tracciante della linea scelta dalle major italiane. Per me, che pure ne ho fatti contratti con le major, è sempre stato difficile accettare la mentalità commerciale, sicuramente è un mio limite, ma non accetto la mediazione sulle scelte artistiche. Quando ero con la BMG, ebbi una diffida a partecipare al disco Cantanapoli antifascista prodotto da Bisca e 99Posse. Anche in quel caso trovai un’insopportabile ingerenza tentare di vietarmi una partecipazione che per me aveva un grande senso. Insomma credo che se non hai un successo istantaneo e vuoi costruire un percorso artistico atipico, libero ed indipendente avrai difficoltà ad accettare le regole del mercato. Abbiamo avuto tanti riconoscimenti ed i nostri brani sono stati scelti come sigle di programmi televisivi e radiofonici, come inni di movimenti a sfondo civile. Abbiamo ispirato tanti ragazzi e fatto nascere formazioni musicali ispirate al nostro modo di far musica. L’ultima soddisfazione è di quest’anno, quando Roberto Fico (il Presidente della Camera) durante una mia esibizione a Montecitorio ha “istituzionalizzato” il bi-dè, il mio bidone tamburo con una dichiarazione degna di un vero fan. Insomma penso che il nostro sole brilli su un pianeta musicale abbastanza inquinato che tende ad oscurare la luce naturale. E’ ovvio che mi piacerebbe avere più attenzione dalle radio ed in genere dai grandi circuiti della musica per portare sempre più lontano la nostra musica. Ma queste sono le sfide infinite degli artisti, guai a sentirsi appagati!