Ivano Leva guarda con perplessità lo smartphone, ma riusciamo ad intervistarlo …

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Un bel disco come The Rain of October ed i Pink Floyd come passione giovanile. L’ho cercato su Facebook e gli ho chiesto se aveva piacere a farsi intervistare. Un paio di giorni e la nostra chiaccherata telematica è organizzata, sempre sotto lo sguardo affettuoso del suo gatto Luigino ..

– Un caloroso bentrovato ad Ivano Leva: riesci nel compito più difficile per un giovane artista? Mi riferisco all’improba missione di riuscire a descriversi .. Dal punto di vista umano sono un palese caso clinico di doppia personalità: una parte di me è un individuo taciturno, serioso e meticoloso, ma è costantemente preso in ostaggio dall’altra parte, costituita da un animo burlone e bisognoso di non prendersi mai sul serio e ridere di tutto. Musicalmente, invece, sono un inquieto rabdomante alla perenne ricerca di un corso d’acqua sotterranea che tenga uniti in un unico fluire tutti i linguaggi musicali che mi intrigano e che ne faccia storie da raccontare.
Riusciamo a fare un bilancio su come è stato accolto The Rain of October? Mi piace soffermarmi sull’avverbio come, tracciando in tal modo una valutazione di tipo meramente qualitativo: l’album è stato ascoltato esattamente nel modo in cui avevo desiderato che avvenisse; gli addetti ai lavori mi hanno gratificato con entusiastiche valutazioni tecniche, così come i non avvezzi al mio genere di produzioni mi hanno ringraziato per aver smosso in loro emozioni, a riprova dell’universalità del linguaggio della musica, che appare limpido anche a chi non ne conosce la grammatica.

– Mi sembra positivo e costruttivo il tuo rapporto con NovAntiqua. Pubblico con la NovAntiqua fin dal 2016 (a proposito: nei prossimi giorni sarà annunciata la data di pubblicazione del mio nuovo disco in piano solo) e sono molto contento del nostro reciproco rapporto. Per uno come me, che fa musica ancor più che di nicchia (“di loculo“, solitamente dico scherzando), è un onore sentirsi attorniato da affetto e stima (tali da garantirmi sempre totale libertà espressiva nelle mie scelte estetiche, che spesso sono anche estreme ed imprevedibili) in un parterre di musicisti che comprende svariate eccellenze di chiara fama.
– Riesci a ritagliarti dei momenti di relax? Quali artisti amavi da giovane? Quali invece quelli che ora ti hanno convinto di più? Immergermi nella musica, oltre ad essere il mio lavoro, è anche ciò che più amo, dunque anche il mio più salubre momento di relax: quando finisco una lunga sessione di studio, per rilassarmi non faccio altro che ascoltare musica (però diversa da quella su cui ho lavorato fino a quel momento) oppure mi diverto a suonare qualche bel brano pop. Alternativamente, mi dedico alla lettura oppure pratico sport, ma in realtà anche durante queste attività buona parte della mia mente immagina musica, costruisce melodie, rimette in ordine materiali musicali metabolizzati. Da ragazzino amavo follemente i Pink Floyd e molto altro rock, oltre alla letteratura pianistica romantica e di inizio Novecento; successivamente ebbi una fase di fondamentalismo legata al jazz, in tutte le sue declinazioni, per poi tornare nuovamente ad una fruizione a 360 gradi, senza distinzione di genere, condizione che rappresenta ancora oggi il mio approccio alla musica ascoltata.

– Sono curioso di conoscere il tipo di rapporto che hai con la tecnologia: ne sei vittima o riesci a portarla al tuo completo servizio? Benché la mia giornata tipo trascorra interamente in compagnia del pianoforte (il non plus ultra dell’analogico) sarei un ipocrita a negare che la tecnologia mi sia di aiuto imprescindibile in diverse sfere del quotidiano: storaggio dati, comunicazioni epistolari, ricerche bibliografiche, ascolto di nuovi compositori, operazioni bancarie .. Guardo invece con rassegnata perplessità allo smartphone ed al modo in cui, dal suo avvento, ha riscritto ex novo le regole di comunicazione sociale: non mi appartiene per niente questa continua violazione del silenzio in nome di una reperibilità illimitata ormai istericamente ritenuta norma ineludibile, né tantomeno il mondo della pubblicazione a getto continuo sui social (che personalmente utilizzo quasi esclusivamente a mo’ di pagina pubblicitaria della mia attività), che ad ogni costo vorrebbe imporre regole di scrittura stringata, stigmatizzando i periodi discorsivi lunghi. Ma perché mai?! La forma deve assolutamente essere libera di piegarsi alle necessità del contenuto!
– Ho molto apprezzato quando hai usato il verbo vomitare per descrivere l’humus su cui è nato The Rain of October ..Sì, può sembrare indubbiamente una espressione molto forte. Ma perfino dietro una apparente volgarità – quando ad essa corrisponde il punto di inizio di una catarsi – può celarsi una timida ma fiera dolcezza; a condizione, però, che il dispositivo scurrile non sia una trovata ad effetto, bensì nasca da una verità personale ed autentica.